Lectio divina su Lc 24,13-35


 
Invocare
O Dio, che in questo giorno
memoriale della Pasqua raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il
tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il
Cristo crocifisso e risorto, che apre il nostro cuore all’intelligenza delle
Scritture, e si rivela a noi nell’atto di spezzare il pane.
Egli è Dio, e vive e regna con te
nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
In ascolto
della Parola
(Leggere)
13 Ed ecco, in quello stesso giorno
due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa
undici chilometri da Gerusalemme, 14 e conversavano tra loro di
tutto quello che era accaduto. 15 Mentre conversavano e discutevano
insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16 Ma i
loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17 Ed egli disse loro:
«Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si
fermarono, col volto triste; 18 uno di loro, di nome Clèopa, gli
rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto
in questi giorni?». 19 Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero:
«Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole,
davanti a Dio e a tutto il popolo; 20 come i capi dei sacerdoti e le
nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno
crocifisso. 21 Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe
liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose
sono accadute. 22 Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti;
si sono recate al mattino alla tomba 23 e, non avendo trovato il suo
corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali
affermano che egli è vivo. 24 Alcuni dei nostri sono andati alla
tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i
profeti! 26 Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze
per entrare nella sua gloria?». 27 E, cominciando da Mosè e da tutti
i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
28 Quando furono vicini al
villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29
Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è
ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30 Quando fu a
tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede
loro. 31 Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli
sparì dalla loro vista. 32 Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva
forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via,
quando ci spiegava le Scritture?». 33 Partirono senza indugio e fecero
ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano
con loro, 34 i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è
apparso a Simone!». 35 Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo
la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
 
In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché
penetri in te e vi metta delle salde radici.
 
Dentro il Testo
L’evangelista Luca si è
convertito dieci anni dopo la resurrezione di Gesù e scrive intorno agli anni
80 d.C. per le comunità cristiane della Grecia, che al 90% erano formate da
pagani convertiti.
Gli anni precedenti furono quelli
della persecuzione di Nerone e poi, nel 70 la distruzione di Gerusalemme da
parte dei Romani. Nel 72 nella fortezza di Masada ci fu il massacro degli
ultimi giudei ribelli a Roma.
Erano gli anni in cui gli
apostoli, cioè i testimoni della risurrezione, stavano scomparendo. Ognuno
avvertiva la stanchezza di un cammino e si chiedevano: dove attingere forza e
coraggio per non scoraggiarsi? Come scoprire la presenza di Gesù in questa
situazione così difficile? Come stare uniti? A queste domande piene di
angoscia, vuol rispondere la narrazione dei discepoli di Emmaus.
Luca, ponendo il brano dei
discepoli di Emmaus come didattico per chi vuol intraprendere un cammino di
lectio divina, vuole insegnare alle Comunità come interpretare la Sacra Scrittura
per poter riscoprire la presenza di Gesù nella propria vita. Infatti, se
ascoltiamo la Parola e diciamo il nostro sì a Dio, la Parola si fa carne in
noi, e noi diamo vita a Dio nella nostra vita e diventa nostra vita. Inoltre,
descrive la struttura della celebrazione Eucaristica del tempo.
Il brano ci permette ancora una
volta di fare esperienza del Risorto, incontrarlo e tornare per annunciarlo. Ed
è per questo che Luca ha scritto il Vangelo, per farcelo incontrare, conoscere
e riconoscere.
 
Riflettere
sulla Parola
(Meditare)
vv. 13-14: Ed ecco,
in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome
Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra
loro di tutto quello che era accaduto.
Luca introduce il racconto alla
luce della Pasqua: «in quello stesso giorno». È l’introduzione alla
vita. Una vita in cammino che parte dallo “stesso giorno”, dal giorno di
Pasqua. Nel Vangelo di Luca ormai c’è solo un giorno dopo la resurrezione.
Viviamo in quel giorno e di quel giorno che è, passata la notte, il giorno
definitivo della vita.
Nel giorno di Pasqua abbiamo due
viandanti. Sono solo due in cammino. Chi sono? Certamente discepoli. Potrebbero
essere tra quelli che ricevettero insieme con gli Undici l’annuncio della
risurrezione da parte delle donne (v. 9).
Il numero può indicarci una nuova
realtà. Può anche indicarci il cammino della quotidianità. Il cammino che
questi due discepoli stanno facendo, dice l’evangelista Luca, è verso Emmaus
cioè verso le proprie cose, verso se stessi. Ciò che li guida non è la luce
della Pasqua ma li trasportava il loro modo di pensare.
Nel cuore di questi due uomini
regna solo tetra delusione e amarezza. Infatti, mentre camminavano discutevano
appassionatamente. Il verbo che viene usato nel testo greco traduce l’espressione
italiana: “Si facevano l’uno all’altro l’omelia”. “Litigavano”.
Su cosa? Sul fondamento della nostra fede: la passione, morte e risurrezione di
Gesù. Il Vangelo, Gesù, sono oggetto del litigio. Il loro raccapezzarsi dice
che non hanno capito nulla. Sanno tutto e hanno capito niente.
vv. 15-16: Mentre
conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con
loro.
Le loro discussioni omiletiche,
però, cadevano nel vuoto perché non guidati dalla Luce Pasquale, privi del Maestro.
Essi sono come la preghiera del Salmista che appassionatamente si rivolge a Dio
dicendo: «se Tu non mi parli, io sono come colui che scende nella fossa»
(Sal 28), cioè come un morto, come chi non ha più nessuna ragione, nessuna
forza di vita. Ecco come si presentavano i discepoli. Senza Dio e la sua Parola
e quindi morti. Anche l’allontanarsi da Gerusalemme, indica proprio la fine, un
lasciare al passato tutto, anche Gesù. Però loro continuavano a cercare
insieme.
Ora un “misterioso
viandante” si accosta al loro cammino, si accosta a questa discussione che
conduceva alla morte. Gesù cammina con loro. Non li lascia nel dubbio. Non li
lascia senza la luce della Sua Pasqua.
La comunità che cerca Cristo non
è lasciata a se stessa, ma è accompagnata e guidata invisibilmente da Lui.
Ma i loro occhi
erano impediti a riconoscerlo.
I Vangeli sono concordi nel
testimoniare che non è facile riconoscere il Signore dopo la sua risurrezione.
Maria Maddalena lo scambia per il custode del giardino. Solo dopo aver fatto
una pesca miracolosa e grazie a Giovanni che grida è il Signore, Pietro e i
compagni lo riconosceranno mentre li attende sulla riva del lago. Qui, Cleopa e
il suo compagno lo trattano da forestiero, non lo riconoscono. Una traduzione
parla di “occhi impossessati”. Sembra strano ma avere gli occhi impossessati sono
come quelli impossessati dai demoni: i nostri occhi non vedono la realtà; i
nostri occhi vedono i nostri deliri, le nostre paure, i nostri desideri, le
nostre delusioni. Non vedi mica le persone, vedi quello che ti aspetti da loro,
o ciò che vorresti o che non vorresti. È la menzogna di Satana che ci impedisce
di aprire gli occhi, perché siamo abitati da tutto questo racconto falso su
Dio, sugli altri e su di noi che realmente ci impedisce di vedere ciò che
siamo.
Forse oggi, noi, dopo tante omelie
e catechesi magari pensiamo di riconoscere Gesù, eppure la Parola ci dice il
contrario. Infatti, d’ora in poi è questo il modo della presenza di Gesù in
mezzo ai suoi discepoli.
Questo modo di non riconoscere,
l’evangelista Matteo ce lo presenta così: «Signore, quando ti abbiamo visto
affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere?
Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo
vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a
visitarti?»
(Mt 25, 37-39). Gesù risorto mantiene la promessa di stare
sempre con noi, ma lo fa a modo suo e non sempre si fa riconoscere. Si fa
presente nel povero, nell’ammalato per darci la possibilità di fare qualche
cosa per lui. Se osserviamo, il Risorto si presenta ai discepoli con le stesse
trafitture della carne (v. 39).
Per riconoscere Gesù bisogna
entrare nella prospettiva della risurrezione passando dalla passione e morte.
vv. 17-19a: Ed egli
disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il
cammino?».
Era usanza, tra gli ebrei,
discutere su temi religiosi durante il viaggio. L’intervento di Gesù è un modo
di fare abituale nella pedagogia di Gesù con gli apostoli (cfr. Mc 9,33). Altre
volte li ha colti a discutere tra loro e si è fatto raccontare ciò che già
sapeva. Si mette in ascolto per permetterci di raccontarci. Abbiamo bisogno di
parlare, di gridare la nostra angoscia, le nostre paure, le nostre delusioni.
Gesù le ascolta.
Si fermarono, col
volto triste;
Qui abbiamo la risposta alla
domanda. La descrizione del “volto triste”. Non è la prima volta che
nei Vangeli incontriamo la descrizione del volto triste. Che cos’è questo volto
triste? Avere il volto triste, scuro, è ciò che tu rivolgi all’altro, il volto
è la relazione. Un volto cupo è la negazione della relazione, è il buio. Quindi
indica la morte che hanno dentro più che una indignazione per la domanda
indiscreta di uno straniero. Per questo Gesù invita «quando digiunate non fate
la faccia triste» (Mt 6,16).
uno di loro, di
nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò
che vi è accaduto in questi giorni?».
Luca ci fa conoscere il nome di
uno dei viandanti: Cleopa (forse un parente di Gesù, cfr. Gv 19,25); l’altro
anonimo, perché porta il nome di ogni lettore chiamato a fare la stessa
esperienza.
La retorica domanda di Cleopa
permette di riprendere i fatti della passione e morte di Gesù come un fatto già
a conoscenza di tutti. Egli pensa che i fatti accaduti siano capitati a loro e
invece sono accaduti proprio al forestiero, a Gesù. Diciamo sempre così: “ma
dov’è Dio? Sembra estraneo a ciò che succede”. Dobbiamo stare tranquilli, tutto
ciò succede a Lui, mica a noi.
Domandò loro: «Che
cosa?».
Dio appare estraneo. Diciamo
sempre anche così: ma dov’è Dio? Sembra estraneo a ciò che capita e invece è il
contrario. Però la domanda di Gesù apre il cuore dei due discepoli esprimendo la
profonda delusione in quei fatti. Questa domanda permette di introdurre la
risposta, che è un vero e proprio inizio dell’annuncio kerygmatico, al quale
manca ancora la proclamazione della risurrezione e il riferimento alle
Scritture.
La domanda somiglia a quel «la
gente, chi dice che io sia?»
(Mc 8,27).
v. 19b: Gli
risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere
e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo;
Qui sgorga la professione di fede
dei viandanti. Purtroppo, una professione spenta, morta, perché come noteremo
al versetto successivo, quella speranza si ferma ai piedi della croce dove Gesù
venne crocifisso. La risposta è stata vaga e anche qui non si va oltre. Mancano
di quella parrésia (termine lucano che caratterizza tutti i discorsi
kerygmatici della prima parte del libro degli Atti! Cfr. At 4,13.29.31). Manca
loro la chiave giusta per rileggere la vita di Gesù nella loro stessa vita,
alla luce della Pasqua.
v. 20: come i capi
dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a
morte e lo hanno crocifisso.
Viene descritta la passione e
morte di Gesù attraverso le autorità. Luca fa notare che l’espressione “i
nostri capi” è contrapposto al “noi” del versetto seguente,
quasi a ribadire la divisione fra il popolo. La responsabilità della morte di
Gesù è dei capi e non dei romani. Così, infatti, si espresse il sommo sacerdote
Caifa: «È meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la
nazione intera»
(Gv 11,50).
E qui nasce il problema: non
hanno capito. Non hanno capito che Dio li ha amati tanto da dare la vita per
lui, non hanno capito niente. Non possono incontrare il Signore. Il Signore è
quello che mi ama e la croce è la testimonianza del Suo amore infinito per me,
per te, per tutti che lo mettiamo in croce.
v. 21: Noi
speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele
Questa era la loro speranza che
lui fosse davvero il Cristo di Dio, l’Inviato, il Salvatore, colui che, come un
grande condottiero, avrebbe liberato Israele. Tutto portava in questa direzione
secondo una concezione giudaica, tipica da partigiani, ma non la sua morte
infame. Una prospettiva miope.  Quindi il
motivo per cui non possono riconoscerlo è perché non accettano, non credono
all’amore; all’amore più forte della morte. Credono che vinca il più potente.
con tutto ciò, sono
passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.
Il “tre giorni” secondo
una credenza giudaica, vuole significare che l’anima si aggira per tre giorni
ancora intorno al corpo dopo di che lo abbandona definitivamente alla decomposizione
e perciò dopo tre giorni dalla morte non c’era più speranza alcuna. Quindi non
possono vederlo Risorto, perché loro sono chiusi nel loro fallimento, nella
loro tristezza, col volto scuro, triste, con tutto il subbuglio interiore, in
litigio anche con l’altro con cui si parla insieme delle stesse cose.
vv. 22-24: Ma
alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla
tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto
anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.
Sembrava che il racconto dovesse
terminare qui invece subentra un fatto nuovo, una notizia sconvolgente che ha
dell’incredibile, dell’inaudito, una notizia raccontata dalle donne e
confermata da alcuni dei discepoli: quel condannato a morte che è stato
crocifisso è vivo. In Luca, l’espressione “è vivo” vuol indicare che
Gesù è il Vivente.
Alcuni dei nostri
sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non
l’hanno visto».
Tuttavia, manca qualcosa perché
questa notizia possa essere accolta come vera: “Lui non lo hanno visto”.
Questo andare alla tomba riprende
il v. 12: la visita di Pietro («corse al sepolcro e chinatosi vide solo le
bende»). L’evangelista Luca, sembra che voglia darci un’altro messaggio da
altra fonte: le donne giungono alla fede, Pietro non giunge alla fede: la loro
fede riposa sull’apparizione del Risorto in persona! Pietro ancora pensa che
senza la comunione diretta e personale del Risorto la fede è impossibile.
Tommaso non crederà nemmeno a
quelli che lo hanno visto e dovrà aspettare ancora altri otto giorni per vedere
e credere. Adesso anche qui. Gesù cammina con i due discepoli ed essi non lo
riconoscono.
vv. 25-26: Disse
loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i
profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare
nella sua gloria?».
Gesù, a questo punto, interviene
e rovescia “le carte”. Ad un tratto Egli stesso è il protagonista di
tutto. Gesù più volte si è scontrato con l’incredulità di coloro che avevano
sempre bisogno di “vedere per credere”.
Gesù li chiama bradicardici e
senza testa. Un modo per scuoterli, per condurli alla verità, un modo per far
capire che non hanno colto il senso della passione, dell’amore di Dio.
Anzitutto la loro lentezza è in
riferimento alla Parola dei Profeti, in riferimento a tutte quelle volte che si
sono messi in ascolto della Parola passivamente. Anzi ascoltare la Parola
ascoltavano se stessi e i loro problemi. La loro lentezza li ha portati a
credere a tutto ciò che non era vangelo. Credevano che lo fosse, ma non si è
rivelato così.
Infatti, il Cristo annunciato non
era un liberatore alla maniera dei potenti della storia, era un salvatore che
doveva attraversare la sofferenza per entrare nella sua gloria. Perché nella
croce rivela la sua gloria, rivela un amore assoluto, più forte di ogni male e
tutto il Vangelo non vuol spiegare che questo grande amore.
v. 27: E,
cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò
che si riferiva a lui.
Qui Gesù inizia la sua lectio
divina attraverso la croce, intesa come l’amore assoluto di Dio per l’uomo. E
la croce è la chiave interpretativa proprio di tutto il mistero della vita.
Luca qui non fa altro che
iniziare un tema che ha notevole importanza nella sua opera: la spiegazione
della Scrittura nella Chiesa (Lc 24,45; At 8,28-34; 17,3; 28,23). Gesù agisce
come fonte e modello di ciò che diverrà l’uso cristiano della Scrittura.
Quello che Gesù fa, non era la
prima volta. Ci sono altri esempi, raccontati dagli Evangelisti in cui Gesù
ricorre alla Scrittura per dire chi è e qual è la sua missione (cfr. Mt 5,22
ss; Mc 9, 11-13). Sono piccoli squarci di luce. Tanto che Filippo aveva potuto
dire a Natanaele: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella
Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret»
(Gv 1,48). Qui però
Gesù si rivela Maestro, cominciando da Mosè passa in rassegna tutti i profeti,
soprattutto illustranti la sua morte e risurrezione. Gesù risorto è l’ermeneuta,
l’esegeta della Parola e dell’evento-Cristo.
vv. 28-29: Quando
furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare
più lontano.
Il viaggio termina. Termina anche
la lectio divina. Gesù fa per andare oltre, quindi è disposto anche ad andare
oltre le nostre paure, oltre a dove arriviamo noi ma non lascia mai solo.
Attende perché vuole essere cercato. San Giovanni nell’Apocalisse dirà: «Ecco,
sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io
verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me»
(Ap 3,20). 
Ma essi
insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al
tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Qui l’invito arriva, pressante, forzato,
adeguato alla situazione: la notte è vicina; perciò, offrire ospitalità a un
viaggiatore è necessario in luoghi dove camminare nell’oscurità rappresentava
un vero pericolo concreto.
“Resta con noi!” dimora
con noi. Forse un po’ di poesia risuona in questa espressione, ma la sera
richiama a quella stessa sera del banchetto pasquale di Gesù con i suoi, in
un’altra casa, al piano superiore.
L’esortazione ora diventa
invocazione paradigmatica della comunità dei discepoli, sulla base di ciò che
Gesù aveva promesso: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio
lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui»
(Gv 14,23;
cfr. 15,4). Questo ora lo realizza, il dialogo lungo il cammino non è stato
inutile. Gesù questa volta non entra per andarsene anche se sparirà dalla loro
vista, entra per rimanere, per dimorare con loro, ha già preso dimora nei loro
cuori. Lo ha fatto con la spiegazione delle Scritture e ora sta per farlo
spezzando il pane eucaristico. Questa è la forma che egli ha scelto per
rimanere con i suoi, con tutti noi, sempre. Fino alla fine del mondo.
vv. 30-31: Quando
fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo
diede loro.
Gesù spezza il pane che compete
al padrone di casa. L’usanza dell’ospitalità cedeva il posto all’ospite. Egli
compie i gesti di un pasto giudaico normale, ma per un cristiano i termini
scelti per descriverlo sono significativi: è il linguaggio del gesto
eucaristico.
Gesù “prese il pane, e spezzato
lo diede (lett. “dava”) loro”. Notiamo che mentre nell’istituzione
dell’Eucarestia (22,19) si dice “lo diede loro” (è usato un indicativo aoristo,
edoken), qui si dice: “dava loro”
(con epedidou: un imperfetto greco):
un’azione passata che continua. Infatti, ciò che fu dato nell’ultima cena è
donato fino alla fine del mondo nella celebrazione Eucaristica.
La Cena eucaristica di Emmaus è
la prima eucaristia della comunità cristiana al tempo di Luca, dopo
l’istituzione del Giovedì Santo. È una Eucaristia domenicale e domestica. La
casa dei discepoli di Emmaus è la prima domus ecclesiae.
Allora si aprirono
loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.
Davanti all’amore che si fa pane,
nutrimento, si aprono, si spalancano i loro occhi. E allora lo riconobbero. Quello che i due discepoli
sperimentano a Emmaus è paragonabile alla guarigione del cieco nato. Si
aprirono loro gli occhi. La loro vista interiore, impedita da tutte le idee che
si erano fatte sul Messia, ora si apre e “lo riconoscono”. I discepoli si sono
preparati al banchetto con l’ascolto della Parola, ma hanno riconosciuto Gesù
solo quando hanno preso parte al suo sacrificio, non cultuale, non rituale, ma
reale e vitale, attuato cioè con l’offerta di se stesso all’umanità.
Egli però, appena lo riconoscono
“divenne invisibile”, recita il testo greco. Gesù non sparisce ma rimane
invisibile agli occhi e visibile nel cuore. Ora è dentro di te, di noi perché
accolto e se desideriamo vederlo, guarda il tuo volto che è cambiato, la tua
vita che è cambiata. È il tuo stesso volto che è riflesso del suo; sei
diventato anche tu come Lui.
v. 32: Ed essi
dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli
conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
L’Evangelista riporta al cuore
dell’esperienza: la Sacra Scrittura. La Parola di Dio arde nel cuore, brucia
come fiaccola (Sir 48,1; Es 3,2), risveglia il cuore. Prima Gesù ha aperto loro
alle Scritture, poi ha aperto loro gli occhi. È lo stesso verbo che viene usato
da Luca. Le Scritture possono restare chiuse anche se vengono lette e studiate
come si può essere ciechi anche se ci si vede.
La presenza del Risorto entra
nella vita dei credenti attraverso le Scritture interpretate in senso pasquale
e attraverso l’eucaristia, facendo ardere il cuore e rendendolo capace di
comprendere.
vv. 33-35:
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti
gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il
Signore è risorto ed è apparso a Simone!».
I discepoli ormai sono cambiati,
sono risorti con Gesù. L’inizio del v. 33: partirono senza indugio, nel testo
greco indica “l’ora della risurrezione” e fanno il cammino opposto, il cibo che
fortifica per il lungo cammino l’hanno ricevuto, possono far ritorno a
Gerusalemme dagli Undici e dagli altri discepoli, risplendenti della Pasqua del
Risorto per dare, anche loro, l’annunzio della risurrezione. Non ci fu giorno
come quello, né prima né dopo: stette il sole e non si affrettò a calare (Gs
10,12-14).
Qui inizia l’annuncio pasquale. L’annuncio
del Vangelo. Pietro l’ha visto e l’ha raccontato e l’ha riconosciuto e noi,
attraverso il Vangelo, lo vediamo, lo conosciamo; questa parola così fa ardere
il cuore, ci cambia la testa, ci cambia il volto, gli occhi, la bocca, le mani,
i piedi; ci ha fatto risorgere. Ecco cosa vuol dire conoscere il Signore, il
Vivente: che viviamo anche noi.
Ed essi narravano
ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare
il pane.
Quest’ultima parte chiude
l’episodio con l’esplicito riferimento al tema del “cammino” (lungo
la via). Il tema del cammino è un tema antropologico forte che presenta i
discepoli di Emmaus come persone in continuo cammino. Solo mettendosi realmente
in cammino si può incontrare il risorto.
I due discepoli hanno fatto
esperienza che «il Signore è vivo». Il brano ha presentato anche una struttura
eucaristica, quella che quotidianamente celebriamo nella memoria del Signore perché
è il ricordare, che ci fa crescere, perché noi viviamo di ciò che abbiamo nel
cuore: quello che mettiamo davanti agli occhi e dentro gli orecchi. Mettiamo
allora negli orecchi e nel cuore questa Parola, cambieremo giorno dopo giorno e
vivremo della Pasqua del Signore.
 
Ci
fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il
Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato
 
La Parola illumina la
vita e la interpella

Quale situazione cupa: delusione,
dubbio, incertezza nella mia vita?
Leggo la Parola di Dio? La
medito? Faccio in modo che arde nel mio cuore? O anch’io sono bradicardico e
senza testa?
Prego il Signore perché resti con
me, illumini il mio cammino, mi apra gli occhi e il cuore alla Sua Parola,
spezzi il pane per me?
Tengo tutto dentro di me per non
sciupare l’esperienza di Dio? Oppure la condivido per rafforzare la fede comune
e la crescita nel Signore Risorto?
Vivo della Pasqua settimanale, l’Eucarestia,
narrandola nella vita?
 
Rispondi a Dio con le
sue stesse parole
(Pregare)
Proteggimi, o Dio: in te mi
rifugio.
Ho detto al Signore: «Il mio
Signore sei tu».
Il Signore è mia parte di eredità
e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
 
Benedico il Signore che mi ha dato
consiglio;
anche di notte il mio animo mi
istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il
Signore,
sta alla mia destra, non potrò
vacillare.
 
Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al
sicuro,
perché non abbandonerai la mia
vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele
veda la fossa.
 
Mi indicherai il sentiero della
vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua
destra. (Sal 15).
 
L’incontro
con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità
(Contemplare-agire)
Il cammino di conversione dei due
di Emmaus contiene gli elementi essenziali per ogni itinerario di conversione.
Anzitutto il rispetto, nel senso etimologico di retro aspicere, “guardare
indietro” vedendo il passato in modo rinnovato; quindi il coraggio di
riconoscere gli errori; infine l’umiltà di cambiare strada e ritornare a
Gerusalemme aggregandosi nuovamente alla comunità da cui ci si era allontanati
(Luciano Manicardi).


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