Lectio
divina su Gv 10,11-18

 
Invocare

Dio onnipotente e
misericordioso, guidaci al possesso della gioia eterna, perché l’umile gregge
dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto il
Cristo, suo pastore. Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito
Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

 

In ascolto della Parola (Leggere)

11Io sono il buon pastore. Il
buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che
non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo,
abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché
è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore,
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me,  15così come il Padre conosce me e io
conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre
pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare.
Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per
questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.
18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla
e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal
Padre mio».

 

In silenzio leggi e rileggi il testo biblico finché penetri in te e vi
metta delle salde radici.

 

Dentro
il Testo

La IV domenica di Pasqua è
dedicata al buon Pastore, una domenica in cui tutta la Chiesa è invitata a
riflettere sulla propria vocazione e a pregare per le vocazioni.

Il brano è inserito nella terza
parte del “libro dei segni”, dove l’evangelista Giovanni riporta gli interventi
fatti da Gesù durante le principali feste liturgiche giudaiche.

Dopo la guarigione di un
paralitico avvenuta a Gerusalemme in occasione di una festa (5,1-47) e la
moltiplicazione dei pani, avvenuta in Galilea, in prossimità della Pasqua (c.
6), seguite ambedue da un lungo discorso, l’Evangelista situa “i segni e i
discorsi” che hanno avuto luogo in occasione della festa delle Capanne
(7,1-10,21; cfr. 7,2): Gesù si presenta anzitutto come “fonte di acqua viva”
(c. 7) e poi, dopo l’episodio dell’adultera (8,1-11) come “luce del mondo”
(8,12-59) e lo dimostra con la guarigione del cieco nato (c. 9).

Collegato con questo episodio si
trova poi un discorso in cui Gesù si presenta come
buon pastore (10,1-21).
Questo discorso prosegue poi nell’ambito della festa della Dedicazione (vv.
22-29). In esso egli approfondisce il tema del pastore e del gregge (cfr. Lc
15,4-7; Mt 18,12-14), mettendo maggiormente in luce, in contrasto con quanti
prima di lui hanno avuto a che fare con le pecore, le prerogative che gli
competono in quanto pastore.

Sullo sfondo del brano vi è
sempre il tema biblico del Pastore escatologico (cfr. Ez 34). Il Testo liturgico
riporta la seconda parte di questo discorso. È evidente il legame pasquale con
Gv 10, dove sotto l’allegoria del pastore e della porta si parla dell’unico
mediatore che Dio ha inviato per salvare il suo popolo (con riferimenti pure
all’Esodo), mediatore che offre la sua vita.

I testi scritturistici abbinati
al Vangelo di questa domenica, oltre al Salmo pasquale (Sal 117) sono un brano
della prima Lettera di san Giovanni (1Gv 3,1-2) dove ritroviamo il tema della
conoscenza vitale tra Gesù / Dio Padre e noi suoi figli e il testo di Atti (At
4,8-12) in cui Pietro afferma che solo nel nome di Gesù c’è salvezza. La
centralità dell’opera di Cristo Gesù nel piano di salvezza di Dio Padre appare
così in piena luce, mostrando che essa si compie nel dare la vita; un modello a
cui i discepoli sono invitati a guardare e in cui ogni vocazione nella Chiesa
prende forma e può sussistere.

 

Riflettere
sulla Parola
(Meditare)

v. 11: Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le
pecore.

Nei vv. 7-10, Gesù si presentò
come “porta”, in quanto egli è l’accesso alla vita. Ora, continuando il
discorso, si presenta come pastore.

Anzitutto il v. 11 inizia con
una autopresentazione di Gesù: “Io Sono”. Questa affermazione indica il nome
divino, lo stesso che ritroviamo in Es 3,14. Questa espressione in 18 versetti
sarà ripetuta per tre volte (vv. 9.11.14).

I Testi non descrivono Gesù come
un pastore qualsiasi. Egli è il pastore ideale annunziato nelle Scritture.
Dice:
ho kalòs che richiama alla bellezza più che alla bontà; tipica
caratteristica del pastore vero che dona la vita per i suoi (cfr. 15,13).

Egli è colui che dona, che
depone la propria vita per le pecore. Questa è la motivazione per cui Egli è il
Pastore bello o buono, “per eccellenza”. Questa ragione è riportata più volte
in questo brano (vv. 11.15.17.18). Gesù depone la vita «per» le sue pecore.
Questa frase richiama Mc 10,45 dove si dice che Gesù dà «la sua vita come
riscatto per (
anti) molti» (le due espressioni hyper e anti si
equivalgono).

Il verbo «(de)porre» (tithêmi)
è usato nel senso di offrire in modo consapevole e libero. Tale espressione la
ritroviamo nel capitolo 13 per la lavanda dei piedi (cfr. Gv 13,4.12, dove si
parla delle vesti, simbolo della vita stessa) è tipica di Giovanni per indicare
il libero gesto di Gesù che si mette nella mani del Padre in favore delle
pecore, gli uomini e le donne di ogni tempo, in vista della loro salvezza. Ciò
scaturisce dall’amore.

La vita viene comunicata
soltanto dall’amore, che è dono di sé agli altri (15,13). Il massimo dono di sé
è la piena comunicazione dell’amore.

L’immagine del pastore, che
troviamo anche nei sinottici in testi diversi su Gesù e le sue opere (vedi Mt
18,12-14; Lc 15,3-7; Mt 9,36-38; Mc 6,34; 14,27; Mt 10,16; 25,31-11; Lc 12,32)
ha sullo sfondo molti passi AT ed ha un chiaro valore messianico (vedi Mi 5,3;
Ez 34,23-31; Ger 3,15; 23,35; Sal 23; Zc 13,7-9).

vv. 12-13: Il mercenario – che non è pastore e al quale
le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge,
e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa
delle pecore.

L’immagine del mercenario che
viene presentata dall’Evangelista in questi versetti è il negativo del pastore.
Infatti, il mercenario è colui che ha interesse a riscuotere per quello che fa:
lo fa per soldi. Inoltre, egli sfrutta e abbandona seminando l’odio, la
malizia, il dubbio, il turbamento delle idee e dei sensi. Il mercenario è colui
che pasce se stesso e non gli importa nulla delle pecore (cfr. Ez 34,1-4). Il Pastore
invece no: presta il suo servizio con amore rinunciando al proprio interesse,
disposto a dare, deporre la vita per le pecore.

Altra figura negativa è il
lupo, che non fa altro che compiere strage: rapisce e disperde (cfr. 10,8).
Questa figura negativa, è da identificare con l’Avversario di Dio, il diavolo
che non fa altro che allontanarci da Dio. Gesù è venuto per distruggere le
opere del maligno. Egli non fa altro che raccogliere i figli dispersi (11,52).

Il messaggio è rivolto anche a
quanti nella Chiesa primitiva e di sempre svolgeranno il ruolo di pastori:
anch’essi dovranno essere animati dai sentimenti qui descritti e che anche san
Pietro ripropone (vedi 1Pt 5,2-4). Pure negli Atti c’è un eco di questo nel
discorso di Paolo a Mileto (At 20,29.31).

C’è da chiedersi se la nostra
vita è più da mercenario che da Pastore bello. Se cerchiamo interesse o il bene
dell’altro.

vv. 14-15: Io sono il buon pastore, conosco le mie
pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco
il Padre, e do la mia vita per le pecore.

Il buon (bello) pastore, Gesù,
ha una conoscenza particolare di noi, così come testimonia l’AT (cfr. Os 6,6;
Am 3,2; Ger 22,16; Sal 139,1-6) e dal contesto biblico generale in cui il verbo
greco
ginòsko indica una conoscenza esistenziale, intima, profonda dove
tutta la persona e la sua esperienza concreta è coinvolta.

Il verbo “conoscere” usato
quattro volte nel brano indica l’amore di Gesù per i suoi discepoli. Fondamento
e modello di questo è l’amore reciproco tra lui e il Padre, sorgente ultima. La
particella «come» (
kathôs) comporta infatti anche questa sfumatura: è
l’amore mutuo tra Gesù e il Padre che viene esteso a coloro che credono in lui,
i quali perciò non sono solo amati da Gesù ma sono resi partecipi della sua
comunione di vita con il Padre. Cioè l’amore che Gesù ha per ciascuno di noi è
lo stesso amore che il Padre ha per lui. Ora, questo stesso amore che Lui ha
per noi, vuole che noi l’abbiamo per Lui in modo che tra noi e lui, tra l’uomo
e Dio, ci sia lo stesso amore e la stessa vita. Ora, questa relazione fra Gesù
e i suoi è creata dalla partecipazione allo Spirito (1,16).

Questa è la vita di Gesù, del
Pastore bello: disporre della sua vita a nostro favore, in modo che possiamo
vivere da figli del Padre, rendendoci come Dio. Questa intimità d’amore,
donataci dallo Spirito Santo la troviamo nella crocifissione, momento cruciale
in cui partecipiamo alla comunione divina Trinitaria.

v. 16: E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io
devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo
pastore.

Gesù rivela alla gente di
Israele la presenza di altre pecore (che non sono di questo ovile) e che egli
deve pure condurre. Vuol dire chiaramente che l
ʼattuale comunità di fede non esaurisce il concetto
di comunità di Gesù, ma ne rappresenta solo l
ʼinizio. Le altre pecore sono i gentili, i pagani,
che entreranno a far parte della comunità messianica. Anch’essi ascolteranno la
«voce» di Gesù, cioè crederanno in lui. I verbi al futuro si riferiscono a un
tempo successivo, quello in cui la Chiesa svolgerà la missione universale che
le è stata affidata dal Risorto (cfr. Mt 28,19). Infatti, nelle parole di Gesù
vi è anche il futuro della Chiesa. La sua missione non si limita al popolo
giudeo, si estende a tutti i popoli (11,52-54). La prospettiva del pastore è
universale. Gesù viene per tutti i popoli, per tutto il mondo.

Questo universalismo è in
consonanza con la concezione di Giovanni che, fin dal Prologo, colloca il suo Vangelo
nel contesto della creazione. Nel pensiero dell’evangelista Giovanni uno degli
effetti della morte di Cristo è il raccogliere nell’unità i dispersi (cfr.
11,52). Per Giovanni la Chiesa è un gregge riunito dal Pastore grazie a una
relazione personale con Cristo Gesù che conduce alla libertà (cfr. Gal 5,13).

vv. 17-18: Per questo il Padre mi ama: perché io do la
mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me
stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il
comando che ho ricevuto dal Padre mio.

Gesù ora dice l’ultima
qualifica del Pastore bello: il Pastore bello è Figlio amato dal Padre. Qui
troviamo nuovamente la motivazione del Pastore che sa dare la vita per i
fratelli, facendo di noi un popolo unico di persone libere.

Gesù, a partire dal momento in
cui il Padre, con lo Spirito, gli conferisce la missione (1,32s), tutta la sua
esistenza è interamente dedicata a condurla a termine, identificando la sua
attività con quella del Padre (5,17).

Qui, in poche battute, si
riassume la Pasqua del Signore. Il Gesù pasquale è Colui che sta davanti al
Padre come colui che offre la vita e come colui che la riprende di nuovo. La
Pasqua del Signore diventa l
ʼevento
nel quale Gesù offre la sua vita e nel quale Gesù la riprende. Così anche noi
in lui, solamente in lui.

Nel testo di Giovanni troviamo
diversi riferimenti in merito (12,24.32; 15,13; 16,21): l’amore del Padre per
il Figlio e per il mondo e l’amore del Figlio per il Padre e per il mondo si
manifesta nell’obbedienza sino alla morte di croce, dove si dona completamente
e liberamente nel dare la vita in abbondanza a noi e a cui il Padre risponde
con la resurrezione.

In queste parole trova “corpo”
la Chiesa popolo della Pasqua, un chiesa cosciente capace di offrire la sua
vita. Solo offrendo la vita può vivere.

 

Ci
fermiamo in silenzio per accogliere la Parola nella vita. Lasciamo che anche il
Silenzio sia dono perché l’incontro con la Parola sia largamente ricompensato

 

La
Parola illumina la vita e la interpella

Sono capace di ascoltare la
voce del buon Pastore?

Gesù, Pastore buono, vive la
follia dell’amore. Mi sento pensato, amato, salvato, chiamato? Oppure penso che
sia una elite riservata?

Mi sento al seguito di Gesù
perché parte di una comunità pasquale in cammino?

Riconosco in Gesù il modello
secondo l’evangelista Giovanni, perché possa riconoscere e e “dare la vita”
come ha fatto Gesù?

Pensando alla mia famiglia o
alla mia comunità, come la mantengo unita come unico gregge?

Sono facile a dire “sono
abbandonato dal Pastore”. Io, quando mi isolo dal gregge?

 

Rispondi
a Dio con le sue stesse parole
(Pregare)

Rendete grazie al Signore
perché è buono,

perché il suo amore è per
sempre.

È meglio rifugiarsi nel Signore

che confidare nell’uomo.

È meglio rifugiarsi nel Signore

che confidare nei potenti.

 

Ti rendo grazie, perché mi hai
risposto,

perché sei stato la mia
salvezza.

La pietra scartata dai
costruttori

è divenuta la pietra d’angolo.

Questo è stato fatto dal
Signore:

una meraviglia ai nostri occhi.

 

Benedetto colui che viene nel
nome del Signore.

Vi benediciamo dalla casa del
Signore.

Sei tu il mio Dio e ti rendo
grazie,

sei il mio Dio e ti esalto.

Rendete grazie al Signore,
perché è buono,

perché il suo amore è per
sempre. (Sal 117).

 

L’incontro
con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità
(Contemplare-agire)

Contemplare il mistero
dell’amore significa ritrovarlo e darne il giusto senso. Lasciamoci guidare
dallo Spirito per essere in grado di vivere il progetto d’amore di Dio e di
annunciarlo incondizionatamente.

 

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