Lectio divina su Gv 15,1-8
Invocare
O Dio, che ci hai inseriti in Cristo
come tralci nella vera vite, donaci il tuo Spirito, perché amandoci gli uni
agli altri di sincero amore, diventiamo primizie di umanità nuova e portiamo
frutti di santità e di pace. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni
tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto,
lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della
parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il
tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così
neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci.
Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non
potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il
tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se
rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e
vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate
molto frutto e diventiate miei discepoli.
Silenzio meditativo
ripetendo mentalmente il testo, cercando di ricordare quanto letto o ascoltato
Capire
Con la quinta domenica di Pasqua,
abbiamo il testo evangelico della vite, anch’essa classica nell’AT. L’evangelista
Giovanni ispirandosi al genere letterario dei “discorsi di addio” (cfr. 13,31-16,33),
parole che il Risorto glorioso e vivente rivolge alla sua chiesa.
Il tema è quello della vigna (la vite e
i tralci). Per un ebreo credente la vite è una pianta familiare, che insieme al
grano e all’olivo contrassegna la terra di Israele; è la pianta da cui si trae
“il vino, che rallegra il cuore umano” (Sal 104,15); è la pianta coltivata da
sempre nella terra di Palestina, simbolo di una vita sedentaria e di una
cultura attestata, simbolo della vita abbondante e gioiosa.
I profeti avevano assunto la vite come
immagine del popolo di Israele, della comunità del Signore: vite scelta,
strappata all’Egitto e trapiantata nella terra promessa da Dio stesso (cfr. Sal
80,9-12), coltivata con cura e amore dal Signore, che da essa attende frutti
(cfr. Is 5,4).
Nel vangelo, Gesù rifacendosi al
profeta Geremia (2,21) si rivela la vite vera di Dio e il Padre è il vignaiolo,
colui che la coltiva.
Questo discorso Gesù lo pronuncia prima
di affrontare la sua “ora”, rivolgendosi esclusivamente ai discepoli,
che rappresentano i credenti di ogni tempo, e quindi anche ciascuno di noi.
La pericope si divide in due parti: i
primi 4 versetti con il tema del rapporto tra Gesù e il Padre, i seguenti 4
versetti presentano la necessità di rimanere o dimorare in Cristo; comune il
tema della vite, identificata con Gesù stesso, e del portare frutto.
Meditare
v.
1: «Io sono la vite vera e il Padre mio è
l’agricoltore.
In questo capitolo, inserito nel
secondo discorso (cc. 15-16), inizia la rivelazione di Gesù circa l’identità e
la situazione della sua comunità in mezzo al mondo. C’è una prima affermazione
che riguarda l’immagine della vite, figura di Israele. L’evangelista usa una
forma letteraria ebraica, il mashal,
in cui si fondono elementi allegorici, simbolici, esortativi e profetici.
L’immagine della vite e della vigna è
classica nell’AT ed è riferita in genere ad Israele, nel cantico d’amore per la
vigna (Is 5,1ss) e dalle dichiarazioni del Signore nel profeta Geremia: “Io ti
avevo piantato come vigna scelta…” (Ger 2,21) (cfr. anche Ger 5,10; Ez
15,2-6;19,10-14; Sal 80,9-16); nel testo giovanneo c’è un riferimento diretto a
Sir 24,17-20 dove tale simbolo è riferito alla Sapienza divina. E nel vangelo
Gesù si presenta anche come la vera sapienza di Dio (cfr. Lc 7,35).
Gesù proclama se stesso la vera vite.
Il vero popolo fedele a Dio è rappresentato da lui (vite) e dai discepoli
(tralci) che gli danno adesione. Il ruolo di agricoltore è svolto dal Padre. Né
Gesù, né tanto meno i tralci/discepoli possono subentrare in questo ruolo.
La cura che l’agricoltore ha per la
vite è simile a quella che il Padre ha per Gesù e i suoi, per la Chiesa
L’immagine viene utilizzata nel NT per
indicare sia l’infedeltà della vite Israele sia la cura di Gesù per i discepoli
(cfr. Mc 12,1-12; Mt 20,1-8; 21,28-31.11-41; Lc 13,6-9; 20,9-19).
v.
2: Ogni tralcio che in me non porta
frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più
frutto.
Il versetto sottolinea la produzione
crescente del frutto del tralcio in Gesù. Il tralcio che pur ricevendo
dall’unione con Gesù/vite la linfa vitale non la trasforma in frutto è inutile
e il Padre lo elimina. L’importanza di portare frutto – idea essenziale di
questo brano – viene sottolineata dall’evangelista che ripete per ben sette
volte l’espressione (tre volte in 15,2 e poi 4.5.8.16).
Qui l’evangelista usa un gioco di
parole tra il verbo: aírei = togliere
e katháirei = purificare
l’evangelista sottolinea che l’azione del Padre/agricoltore verso il tralcio
che porta frutto non è di di “potatura” ma di purificazione, cioè liberazione
da tutti quegli elementi che impediscono di aumentare la capacità di portare
frutto. È questa un’azione positiva tesa a favorire le capacità di vita e di
dono del tralcio.
Il legame tra Gesù e i discepoli, i
credenti (la Chiesa) indicato con la vite e i tralci sottolinea l’intensità del
rapporto; il principio fondamentale della vita cristiana è condividere la
stessa vita di Gesù, restando uniti a Lui, la vera vite.
v.
3: Voi siete già puri, a causa della
parola che vi ho annunciato.
La fede e l’amore con cui restiamo in
Cristo (cfr. Gv 14,21) hanno alla radice l’azione del Padre. Infatti il v. 3
specifica che è la parola (quella di Gesù e quella delle Scritture) a renderci
puri. Il credente nell’ascolto fedele e obbediente alla Parola si purifica e
diviene sempre più tralcio della vite/Cristo (cfr. Gv 13,10). Del resto la
necessità della grazia, dell’azione gratuita e preveniente di Dio per credere è
un tema ripreso spesso da Giovanni (cfr. 6,37.65; 14,6).
Questo insegnamento che li rende
puri/liberi è quello dell’amore che si traduce nel servizio da lui dimostrato
nella lavanda dei piedi (cap. 13). Lavare i piedi agli altri (servizio di amare
= purificare) è quel che rende puri i discepoli.
v.
4: Rimanete in me e io in voi. Come il
tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così
neanche voi se non rimanete in me.
Il verbo dimorare/rimanere = méinate da ménō è un verbo caratteristico del vangelo di Giovanni (ben 36
volte contro le 3 di Mt, 2 di Mc e 7 di Lc). In questo capitolo il verbo
compare ben 11 volte.
Esso indica la reciproca appartenenza
di Gesù e dei suoi discepoli e l’unica sfera di vita retta dall’amore, a
imitazione della reciproca immanenza del Padre e del Figlio.
L’espressione vuole manifestare il dono
di grazia di Dio che rimane nel discepolo, ma insieme al dono deve rimanere la
fedeltà. Ciò significa che la fede è un cammino, un avanzare per continuare a
godere del dono di Dio che in Cristo non verrà mai meno. La fede non è data al
cristiano una volta per tutte, ma è la risposta alle esigenze della Parola che
è un principio dinamico che purifica e libera da ciò che in noi si oppone a
Dio. Più si dimora in Gesù e più si serve. Infatti, il servizio è piena
comunione con Gesù
v.
5: Io sono la vite, voi i tralci. Chi
rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete
far nulla.
Il v. 5 riprende il v. 1 ma con
variante: si aggiunge “voi i tralci”. Non solo, torna il verbo rimanere. In
pratica, il versetto contiene il rapporto tra Gesù/vite e i suoi
discepoli/tralci.
Senza questa comunione il tralcio
diventa sterile. L’espressione di Gesù richiama quella pronunciata nella sinagoga
di Cafarnao: “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in
lui” (Gv 6,56) sottolineando la stretta relazione tra adesione/comunione a Gesù
e il portare frutto.
v.
6: Chi non rimane in me viene gettato via
come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Il v. 6 propone una serie di verbi come
facendo un percorso al rallentatore: chi non rimane viene gettato, secca, viene
raccolto, lo gettano nel fuoco, lo bruciano, che sottolineano l’inevitabile fallimento
del tralcio staccato dalla vite. Una descrizione di questo movimento, l’abbiamo
nel profeta Ezechiele: “Figlio dell’uomo,
che pregi ha il legno della vite di fronte a tutti gli altri legni della
foresta? Si adopera forse quel legno per farne un oggetto? Si può forse
ricavarne un piolo per attaccarvi qualcosa? Ecco, lo si getta nel fuoco a
bruciare, il fuoco ne divora i due capi e anche il centro è bruciacchiato.
Potrà essere utile per farne un oggetto? Anche quand’era intatto, non serviva a
niente: ora, dopo che il fuoco l’ha divorato, l’ha bruciato, si potrà forse
ricavarne qualcosa?”
(Ez 15,2-5).  
I discepoli separati da Gesù sono nella
morte e vanno incontro alla condanna eterna (Ez 15,1-8; Mt 3,10; 13,30.40); la
vita viene da Gesù (cfr. Gv 10,10; 14,6); In modo diverso san Paolo dirà:
“Tutto posso in Colui che mi dà la forza” (Fil 4,13).
v.
7: Se rimanete in me e le mie parole
rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto.
Accogliere la Parola di Gesù non è un
fatto uditorio, ma deve dimorare in ogni credente. Per vivere pienamente
questo, non deve mancare l’accogliere la sua persona e il suo mistero,
accoglienza possibile attraverso la fede che rende quindi efficace ogni
preghiera.  Se c’è tutto questo, i
discepoli hanno la garanzia che qualunque cosa chiederanno, mi chiedete (cfr.
Mc 11,24; Gv 14,13; 16,23-24) verrà loro concessa (nel verbo thélēte =
chiedete/volete è insita la tensione/volontà comunitaria di desiderare ciò che
desidera Gesù: tutto ciò che realizza veramente l’uomo).
L’evangelista Giovanni lo ricorderà
nella sua lettera facendo menzione all’azione dello Spirito Santo (cfr. 1Gv
3,18-24).
v.
8: In questo è glorificato il Padre mio:
che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
Infine la gloria del Padre, che si
manifesta in Gesù, è manifestata anche in coloro che producono frutti in forza
della loro comunione con Lui.
Il discepolo di Gesù sarà colui che, incondizionatamente,
come Gesù glorifica il Padre nella vita di tutti i giorni attraverso il
perdono, la misericordia, la condivisione.
L’evangelista in particolare sottolinea
che solo diventando discepoli di Gesù e nell’abbondanza di frutto viene
glorificato il Padre, cioè si rende manifesta la presenza e l’attività di un
Dio-Amore.
La Parola illumina la vita e la interpella
La nostra mia è una fede viva o è
generata dalle emozioni, dai sentimenti?
Sono capace di aprire il mio cuore al
suo amore e con lui aprirmi verso i fratelli, verso le sorelle?
Dimoro nella Parola del Signore per
viverla sulle strade della vita?
Sono convinto che senza l’Agricoltore
non posso far nulla e che solo da lui mi viene tutto ciò di cui ho bisogno?
Mi lascio “potare” con gioia,
con pazienza, per produrre frutti abbondanti e generosi?
Pregare Rispondi a Dio con le sue stesse parole
Scioglierò i miei voti davanti ai suoi
fedeli.
I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano;
il vostro cuore viva per sempre!
Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra;
davanti a te si prostreranno
tutte le famiglie dei popoli.
A lui solo si prostreranno
quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.
Ma io vivrò per lui,
lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione
che viene;
annunceranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
«Ecco l’opera del Signore!». (Sal 21).
Contemplare-agire  L’incontro
con l’infinito di Dio è impegno concreto nella quotidianità…
Nella pausa contemplativa, mi lascio
trasportare dalla Parola per viverne il suo dinamismo, per vivere la vera vita
spirituale, il primato dell’interiorità attraverso il verbo rimanere.

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