Lectio divina su Lc 7,36-8,3

Invocare
O Dio, che non ti stanchi mai di usarci
misericordia, donaci un cuore penitente e fedele che sappia corrispondere al
tuo amore di Padre, perché diffondiamo lungo le strade del mondo il messaggio
evangelico di riconciliazione e di pace. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
36 Uno dei farisei invitò Gesù a
mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37 Ed
ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella
casa del fariseo, portò un vaso di profumo; 38 stando dietro, presso i piedi di
lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi
capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 39 Vedendo questo, il fariseo
che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è,
e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».40 Gesù allora
gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure,
maestro». 41 «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento
denari, l’altro cinquanta. 42 Non avendo essi di che restituire, condonò il
debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». 43 Simone rispose:
«Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai
giudicato bene». 44 E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa
donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei
invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli.
45 Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha
cessato di baciarmi i piedi. 46 Tu non hai unto con olio il mio capo; lei
invece mi ha cosparso i piedi di profumo. 47 Per questo io ti dico: sono
perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si
perdona poco, ama poco». 48 Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati».
49 Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona
anche i peccati?». 50 Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’
in pace!».
8,1 In seguito egli se ne andava per
città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio.
C’erano con lui i Dodici e 2 alcune donne che erano state guarite da spiriti
cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti
sette demoni; 3 Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e
molte altre, che li servivano con i loro beni.
Silenzio meditativo: Togli,
Signore, la mia colpa e il mio peccato.
Capire
La pericope è collocata da Luca subito
dopo la risurrezione operata a Nain per sviluppare maggiormente il tema
precedente, cioè la rivelazione di Gesù come profeta: sono, infatti, i
peccatori che riconoscono Gesù come tale, al contrario, i farisei rifiutano
questo carattere profetico. Ora, sia a Nain che a casa del fariseo, una donna
incontra il potere risanante di Gesù.
Nei quattro evangeli troviamo il
racconto dell’unzione di una donna nel contesto di un banchetto. Matteo
(26,6-15), Marco (14,1-11) e Giovanni (12,1-11) la collocano nel contesto della
passione, come profezia della morte e sepoltura del Cristo, invece Luca
(7,36-8,3) propone una prospettiva diversa: la donna è introdotta come
“peccatrice”.
Nel racconto vengono contrapposti i
gesti della donna e del fariseo (Simone): lei – definita “peccatrice”
invoca la misericordia di Dio, mentre il fariseo si scandalizza per tanta
tenerezza e soprattutto per l’atteggiamento di Gesù, che ai suoi occhi appare
ingenuo e troppo permissivo nei confronti di una “peccatrice”.
Gesù stesso riprende e racconta la
vicenda per spiegare il suo punto di vista e presentare il suo dono: la
misericordia di Dio.
Per far capire usa una piccola
parabola: “Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento
denari, l’altro cinquanta” (Lc 7, 41). La parabola non privilegia chi possiede
cinquanta denari, perché è in una condizione privilegiata rispetto all’altro. Gesù
capovolge. Condona il debito a tutti e due e colui che aveva il debito più
grave sarà quello che deve avere la riconoscenza più intensa, quello che ama di
più: “senza l’amore tutte le cose sono niente” (S. Teresa di G.B.).
Da questo punto di vista il Vangelo è
prezioso. Siccome siamo di fronte alla salvezza, al perdono, alla
riconciliazione e alla grazia di Dio, quel peccato che è il punto di partenza
della nostra esperienza può stranamente e paradossalmente diventare l’occasione
per un amore più grande, per una comprensione più intensa.
Questo significa che il perdono di Dio
viene riconosciuto tanto più chiaramente quanto abbiamo consapevolezza del
nostro peccato. Il che significa che la consapevolezza del nostro peccato non
dovrebbe produrre la disperazione, l’avvilimento. Dovrebbe invece produrre la
speranza, e impedirci di porre in noi stessi la nostra sicurezza, ma spingerci
ad andarla a cercare nel Signore.
Meditare
v.
36: Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del
fariseo e si mise a tavola.
Gesù è invitato a casa di un fariseo.
Luca lo presenta così, senza un nome e senza dettagli particolari. Più avanti
sapremo qualche informazione in più.
Letteralmente il termine “lo
invitò” significa “lo pregò”. Il fariseo con questo invito forse
ha una scusa per approfondire la persona di Gesù di cui, sembra, averne stima.
Questo invito a casa del fariseo dà a
Gesù l’occasione di dare un insegnamento riguardo i capisaldi della devozione
farisaica: il problema della purezza rituale, il sabato, il trattamento dei
peccatori…
Il mettersi a tavola di Gesù è espresso
con il verbo “adagiarsi”, che si è visto anche nel brano della
moltiplicazione dei pani e dei pesci di due domeniche fa.
Secondo l’uso romano e greco, infatti,
i commensali si semisdraiavano su appositi “divani” attorno alla tavola,
attorno ai cibi da mangiare.
v.
37: Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava
nella casa del fariseo
Il versetto introduce l’entrata in
scena di un personaggio: una donna, costei è definita peccatrice. Luca, forse,
la introduce in maniera volontaria durante il pasto, ma non dice chi è anche se
lascia capire che è conosciuta in città.
La peccatrice esprime l’esperienza del
peccato in due modi: con il dolore e con l’amore. Il dolore si vede facilmente
in quel pianto che esprime la consapevolezza del suo errore, del suo peccato e
della sua lontananza dalla santità di Gesù; ma il dolore non l’ha ripiegata su
se stessa, non l’ha fatta macerare in una tristezza autonoma e isolata, l’ha
invece spinta verso Gesù, a cercarlo, a interessarsi solo di lui. La donna non
tiene conto di nessun altro: non tiene conto del fariseo, dei commensali, di
quello che gli altri potevano pensare o dire o qualunque altro atteggiamento
avessero potuto tenere; non tiene conto di niente, a lei interessa
semplicemente Gesù e per stabilire con Lui un legame che, per quanto la
riguarda, è essenzialmente un legame di amore.
portò
un vaso di profumo.
La peccatrice, oltre portare se stessa,
porta con sé un costoso vasetto di alabastro pieno di unguento profumato e
costoso, che piace tanto agli orientali, anche a Gesù. Nelle tombe dell’antico
Oriente se ne sono trovati molti esemplari, alcuni dei quali di artistica
fattura, talvolta anche di materiale prezioso.
Con questi primi due versetti abbiamo e
continuano due atteggiamenti particolari di come il fariseo e la peccatrice si
rapportano con Gesù.
v.
38: stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di
lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di
profumo.
Poiché Gesù è steso a terra, è ovvio
che la donna si ponga dietro di lui ai suoi piedi. Il gesto da lei compiuto è
molto lontano dalla nostra cultura e dalla nostra mentalità. Si tratta però di
un gesto forte, che suscita imbarazzo e scandalo nei presenti.
Un uomo poteva farsi lavare i piedi
solo dalla moglie. Lo sciogliersi i capelli in pubblico da parte di una donna
era considerata un’indecenza. Da parte sua invece la donna compie tutti questi
gesti senza curarsi della reazione dei presenti. Ella vuole solo dimostrare
grande amore, venerazione, riconoscenza nei confronti di Gesù.
v.
39: Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui
fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è
una peccatrice!».
Il fariseo si scandalizza di quanto fa
la peccatrice nei confronti di Gesù e si comporta come un giudice; prima
giudica la donna e poi giudica Gesù: non scappa nessuno dal suo giudizio.
Ai suoi occhi di giudice inflessibile,
la donna è legata con il suo peccato una volta per sempre; può fare quello che
vuole, ma lei è una peccatrice, il suo peccato le rimane attaccato come una
pelle. Il giudizio è senza riserve, senza remissioni. Il legame tra persona e
peccato diventa indissolubile, non si può vedere in un altro modo, non si può
accostare da un’altra prospettiva.
Chiaramente giudicando in questo modo
la donna, fissando la donna nel suo peccato, il fariseo si separa da lei. È
come se creasse una specie di abisso invalicabile.
Il giudizio è definitivo: unisce
insieme la donna al peccato e separa il fariseo dall’amore. È stabilita quindi
una rigida barriera che ha un motivo preciso: di difendere la santità e la
virtù del fariseo; quella donna è in qualche modo l’incarnazione del peccato.
In questo modo il fariseo si è separato
dalla donna, ma si è separato anche dalla misericordia di Dio “se costui fosse…”, perché nei confronti
di quella donna Dio pronuncia un giudizio di misericordia e di perdono. Quindi
creare il distacco da lei, significa creare un distacco, una separazione, dalla
misericordia di Dio; il fariseo non ha niente a che fare con la misericordia di
Dio, perché la misericordia di Dio passa gli abissi e raggiunge il peccatore.
v.
40: Gesù allora gli disse: “Simone, ho da dirti qualcosa”. Ed egli
rispose: “Di’ pure, maestro”.
Gesù è veramente quel profeta di cui
tutti parlano, in quanto conosce quanto sta nel cuore dell’uomo.
Qui per la prima volta salta il nome
del fariseo: “Simone”. Il nome ha la sua importanza nella Bibbia e nella vita.
In ebraico significa “Javhè ha prestato ascolto”. Ora se Dio ha prestato
ascolto ad una sofferenza, chiama all’ascolto di un’altra sofferenza.
Gesù chiama all’ascolto di una piccola
parabola, per far capire al suo interlocutore di quale tipo sia la vera
profezia e la vera osservanza della Legge e provocare Simone ad un giudizio,
servendosi di una vicenda apparentemente lontana dalla realtà.
Gesù si introduce in modo cortese e
ottiene una risposta altrettanto cortese, anzi viene chiamato “maestro”, quasi
in contrasto con quanto Simone aveva pensato prima.  
vv.
41-42: Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari,
l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti
e due.  
Poche righe ma concise e per di più non
in linea al pensiero del fariseo. Egli pensava alla purità più che al condono
del debito.
Molto spesso le parabole sono costruite
su un capovolgimento di situazioni: qui si parla di un creditore che si attende
da due debitori rispettivamente 500 e 50 denari. La paga giornaliera di un
operaio era di 1 denaro. I due debitori sono dei morosi e inadempienti. Allora
il creditore con generosità abbona ad ambedue il rispettivo debito.
La remissione dei debiti, l’àphesis, è l’atto principale del
Giubileo biblico (Lv 25,8-22) e il condono dei debiti nell’anno del condono (Dt
15,1-9). Per questo Gesù, venuto a portare il Giubileo finale dello Spirito
Santo, l’àphesis divina generale di tutte le colpe, rigorosamente richiede ai
suoi, che già ottennero il perdono divino, che intanto applichino la remissione
dei debiti al loro prossimo (cfr. Lc 6,29-30.35). E li obbliga a chiedere la
remissione delle colpe al Padre, impegnandosi intanto a rimetterle già prima
essi al loro prossimo come recita il «Padre nostro», (cfr. Lc 11,4; Mt 6,12).
Chi
di loro dunque lo amerà di più?.
Gesù parte mettendosi dal punto di
vista del fariseo e poi costringe il fariseo a ragionare in modo diverso. È il
momento del discernimento non dell’inganno. È il momento per capire che questa
parabola riguarda proprio te e riguarda tutti quelli che pensano di avere nei
confronti di Dio un debito piccolo. Infatti, la situazione dei due debitori
rivela la situazione di ogni uomo dinanzi a Dio: egli è sempre in debito.
v.
43: Simone rispose: “Suppongo sia colui al quale ha condonato di
più”.
Simone prende un po’ le distanze, forse
pensa ad una domanda trabocchetto e inizia a rispondere con un “suppongo”.
Spostato sul campo neutro della parabola, Simone non ha nessuna difficoltà a
ragionare in modo equo, però forse prevede la sua sconfitta. Gesù comunque
riconosce che la risposta è giusta.
Gli
disse Gesù: “Hai giudicato bene”.
Hai giudicato bene”, vuole dire:
attento, dentro a questa parabola ci sei anche tu; dentro a questa parabola ci
sta questa donna peccatrice che aveva un debito grande, immenso davanti a Dio,
e ci sei anche tu che avevi un debito piccolo; ma, nella parabola, quello che
aveva il debito grosso, alla fine è colui che ama di più, e quello che aveva il
debito piccolo è chi ama di meno.
vv.44-46:
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono
entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha
bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi
hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi
i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i
piedi di profumo.
Questi versetti sono l’attualizzazione
o spiegazione della parabola, i due debitori sono proprio Simone e la donna.
La donna attraverso i suoi gesti ha dimostrato
grande amore nei confronti di Gesù. Simone non li ha compiuti e quindi non ha
tanto amore verso di lui.
Non è detto che Simone non abbia
compiuto i gesti tipici dell’accoglienza palestinese (che prevedeva almeno di
offrire l’acqua per lavarsi i piedi). Ciò che si sottolinea qui è l’intensità
di amore che differenzia la peccatrice da Simone. Ciò su cui Gesù punta
l’attenzione è proprio il rapporto amore/perdono. Non si sa cosa venga prima: è
l’amore che suscita il perdono da parte di Dio o è il perdono che fa nascere
l’amore in colui che è perdonato? Di fatto l’intensità dell’amore deve essere
direttamente proporzionale alla distanza che il peccato ha creato tra Dio e
l’uomo.
Secondo alcuni autori, i gesti di
ospitalità omessi da Simone non erano dovuti: talora erano compiuti da uno
schiavo. Gesù non vuole rimproverare Simone per la mancanza di gesti di
cortesia, ma soltanto stabilire un confronto. Ciò che la donna ha fatto non è
dovuto, non entra dunque nell’etichetta giudaica, ma nella gratuità dell’amore.
La donna ama e Gesù interpreta e accoglie i gesti della donna per ciò che sono:
un gesto d’amore.
v.
47: Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto
amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco».
Il versetto si presenta come
conclusione (“per questo”) della parabola. Possiamo anche dire l’epilogo che
riprende l’insegnamento della parabola in questi termini: a chi è perdonato
molto, ama molto; a chi è perdonato poco, ama poco.
In questo non bisogna dimenticare che Dio
dona la sua Grazia all’uomo prima e durante e dopo. Non è una questione di chi
siamo, ma della grazia divina che agisce in noi.
La Grazia divina, e nessun
convincimento umano, raggiunge la donna e la investe e riempita di fede spingendola
ad andare dall’unico che può condonare il debito, dall’unico Misericordioso e da
cui ci si attende la Misericordia, dal Signore. Per questo Gesù le dice
infatti: Sono rimessi i peccati tuoi.
La donna si trova ora in uno status nuovo: non è più una
“peccatrice”, ma una “perdonata”. L’amore messo in luce dal comportamento della
donna è il segno e la conseguenza del perdono divino ricevuto in precedenza.
Quest’amore manifesta che ella non è più peccatrice, ma ha vissuto l’esperienza
dell’amore.
L’amore che questa donna manifesta è il
segno che è stata toccata dal perdono di Dio e, proprio perché il perdono di
Dio è stato così grande, ha suscitato un amore immenso. Il Signore si rifà a
una concezione che ritroveremo ancora nel Nuovo Testamento e che era già
presente nei profeti: il perdono di Dio suscita l’amore e la fedeltà dell’uomo.
Ma Gesù capovolge il modo di pensare degli scribi e dei farisei. Anche i
farisei pensavano al perdono di Dio, come conseguenza della conversione
dell’uomo: sono peccatore, mi converto e allora Dio mi perdona. Mentre prima
c’è il perdono e poi c’è la vita nuova dell’amore, della fedeltà.
vv.
48-49: Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati».
Luca chiude la scena con le ultime
parole (vv. 48.50) che Gesù riserva alla donna. La prima le assicura il perdono
divino. Nella logica della parabola, Gesù confermerebbe un perdono che ella
avrebbe già ricevuto in precedenza.
Allora
i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i
peccati?».
I commensali si scandalizzano, sanno
bene che solo Dio perdona i peccati (cfr. Mc 2,6-7; Lc 6,21). Come nel versetto
39, la riflessione dei presenti non viene detta ad alta voce. A Gesù si fa
un’altra critica: chi è colui che perdona anche i peccati degli altri?
L’evangelista non qualifica la reazione dei commensali: stupore o ostilità? La
loro domanda, in realtà, aspetta la risposta del lettore.
v.
50: Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».
Il versetto chiude il capitolo e chiude
anche la parabola con la seconda parola detta alla donna. È una formula
abituale, che conclude spesso nella tradizione sinottica i racconti di
guarigione. In Luca ricorre quattro volte sempre nei confronti di persone
emarginate e ritenute impure: la donna “perdonata” (7,50), l’emorroissa (8,48),
il lebbroso samaritano (17,19) e il cieco mendicante (18,42).
L’«essere salvati» investe e coinvolge
tutta la persona. Significa dunque la piena restaurazione di tutti gli aspetti
della vita, inclusa la riabilitazione nella comunità del popolo di Dio.
Gesù a questo grande dono aggiunge
un’imperativo finale: «va’ in pace». Cristo è il mediatore della pace,
attualizza lo shalom della pace
messianica, del dono escatologico di Dio.
Il fatto che Luca riporta
quest’espressione vuol dire non solo la certezza della salvezza, ma anche la
restaurazione della loro condizione sociale, una nuova dignità e la
riammissione nella comunità dei salvati.
Andare in pace significa essere ammessi
a cantare al Signore un canto nuovo (Sal 33,3; 40,4e ad avere gli stessi sentimenti sull’esempio di Cristo (cfr. Rm 12,16;
15,5: 2Cor 13,11).
La pace in relazione con la salvezza è
pienezza che proviene da Dio, che porta armonia, ordine, concordia, sicurezza,
prosperità, attualizzata in modo nuovo nella comunione con il Dio di Gesù.
8,1-3: In seguito
egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona
notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici
L’inizio del capitolo 8 fa da cerniera.
È collegato all’episodio che abbiamo appena visto. La prostituta è simbolo di
tutti gli emarginati che, con Gesù, costruiscono la nuova società.
L’attività itinerante di Gesù diventa
sistematica. Va di villaggio in villaggio, di città in città annunciando il suo
Vangelo.
Con Gesù ci sono i Dodici che a poco a poco
diventano capaci di annunciare a loro volta il Vangelo e di seguire il suo
metodo missionario.
La proposta di Gesù è la Buona Novella
del Regno di Dio nelle città e nei campi, ossia, per tutti.
e
alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria,
chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni;
I vangeli parlano poco delle discepole
di Gesù. L’evangelista Luca le menziona spesso alla sequela di Gesù.
Evidentemente non erano soltanto gli uomini a seguire Gesù di Nazareth. Nel
giudaismo vedere Gesù accompagnato da uomini e donne era un fatto sorprendente,
insopportabile per le autorità religiose del tempo. Contro le usanze del tempo
Gesù, rifiutando tale discriminazione, accettava al suo seguito anche le donne,
accoglie la loro gratitudine e dona loro piena dignità davanti a Dio e agli
uomini. Qui ricorda che si tratta di persone che Gesù aveva guarito.
Troviamo qui un riflesso delle comunità
cristiane elleniche a cui apparteneva Luca. La prima ad essere ricordata è
Maria Maddalena, cioè proveniente dalla città di Magdala, sulla costa
occidentale del lago di Genesaret. Era molto venerata nella Chiesa primitiva
poiché era la prima testimone della risurrezione di Gesù. Qui viene ricordata
come testimone della sua vita pubblica. L’evangelista dice che era stata
liberata da sette demoni, cioè era posseduta nella totalità (cfr. Mc 16,9).  
Giovanna,
moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li
servivano con i loro beni.
La seconda, Giovanna, come ricorda Luca
stesso era una donna molto in vista nella società del tempo. Si tratta di un
caso eccezionale e mette in evidenza l’interesse di Luca nei confronti delle
persone della sua classe sociale. Susanna è del tutto sconosciuta. Queste donne
servivano (diakonein) il Signore e lo
assistevano con i propri beni. Non si sa bene se fosse possibile loro portare
con sé dei soldi, ma di certo Luca quando scrive queste righe ha in mente la
situazione della sua comunità greco/cristiana.
Le donne che aiutano Gesù sono persone
riabilitate nella loro dignità e, soprattutto, donne nelle quali Gesù scoprì
grandi potenzialità in prospettiva del Regno di Dio.
Aiutando Gesù ed i discepoli coi beni
che possedevano, quelle donne rivelano uno dei pilastri sui quali, secondo
Luca, il Regno viene costruito attraverso la condivisione. E lì, il Regno mette
radici.
Esse saranno il “cantico per l’Amore
non amato” (santa Maria Maddalena de’ Pazzi).
La
Parola illumina la vita
Invito Gesù nella mia casa, a sedere a
mensa con me?
Qual è il mio pensiero nei confronti
dei miei peccati? Mi sento un peccatore o un giusto?
Qual è il mio atteggiamento nei
confronti di coloro che sono peccatori, magari nei miei confronti?
Quali sentimenti suscita in me il
racconto della donna peccatrice?
Come viviamo il nostro rapporto con
Dio? Ci accontentiamo della Messa domenicale, di una presenza formale a
celebrazioni liturgiche per cui possiamo essere definiti praticanti o sappiamo
superare il segno puramente esteriore per dare a Dio il profumo di un amore
gratuito, che va oltre le prescrizioni?
L’amore porta alla condivisione. Ne
sono convinto?
Pregare
Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il
delitto
e nel cui spirito non è inganno.
Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie
iniquità»
e tu hai tolto la mia colpa e il mio
peccato.
Tu sei il mio rifugio, mi liberi
dall’angoscia,
mi circondi di canti di liberazione.
Rallegratevi nel Signore ed esultate, o
giusti!
Voi tutti, retti di cuore, gridate di
gioia! (Sal 31).
Contemplare-agire
La parola del Signore ci aiuterà a
capire quanto sia utile il riconoscimento del peccato e la sincera conversione.
Questa bisogna chiederla a Dio perché è una parte di grazia della nostra fede
alla quale dobbiamo essere aperti. Chiediamo dunque, come suggerisce
sant’Ignazio, una e più volte la grazia di un crescente e intenso dolore e
lacrime per i miei peccati (Papa Francesco).

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