Lectio divina su Lc 7,11-17
Invocare
O Dio, consolatore degli afflitti, tu
illumini il mistero del dolore e della morte con la speranza che splende sul
volto del Cristo; fa’ che nelle prove del nostro cammino restiamo intimamente
uniti alla passione del tuo Figlio, perché si riveli in noi la potenza della
sua risurrezione. Egli è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito
Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Leggere
11 In seguito Gesù si recò in una città
chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12 Quando
fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto,
unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con
lei. 13 Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le
disse: «Non piangere!». 14 Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono.
Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». 15 Il morto si mise seduto e cominciò
a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. 16 Tutti furono presi da timore e
glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha
visitato il suo popolo». 17 Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la
Giudea e in tutta la regione circostante.
Silenzio meditativo: Ti
esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.
Capire
Nel Vangelo di Luca troviamo un bel “blocco”
(4,14-9,50) che riguarda il ministero di Gesù: l’inizio del ministero a Nazareth
e il rifiuto di Gesù da parte dei suoi stessi concittadini (4,14-30); a Cafarnao,
per simboleggiare la sua accoglienza entusiastica da parte di estranei (pagani)
in una città in cui egli stesso era straniero (4, 31-44). Poi Luca continua la
sua narrazione aggiungendo altri importanti dettagli nel racconto della
costruzione del regno con la chiamata di Pietro, la missione dei dodici e
alcune dispute con i vari gruppi ostili.  
Il brano di questa domenica è tratto
dal capitolo 7, e l’evangelista Luca presenta Gesù potente in opere e in parole.
Il capitolo infatti si apre con la guarigione del servo del centurione (7,1-10).
Egli, Gesù, è il “più forte” (3,16)
annunciato da Giovanni, ma non solo: egli si china sui più poveri, le persone
più disprezzate, i peccatori. L’inizio di questo capitolo non ha altro che
questa fisionomia ed è quella di Gesù: annunciare il Regno, guarire ogni sorta
di infermità, risuscitare i morti. La tradizione evangelica ricorda tre
miracoli di risurrezione: il figlio della vedova di Nain (7, 11-17), la figlia
di Giairo (8,50-56) e l’amico Lazzaro (Gv 11).
L’episodio della risurrezione del
ragazzo di Nain ci riporta alle risurrezioni operate da due importanti profeti:
Elia (1Re 17,17-24) ed Eliseo (2Re 4,32-37). Forte dunque è il raffronto tra
Gesù ed Elia, non tanto per dare fondamento alle previsioni apocalittiche che
richiamavano in campo Elia prima della fine del mondo, ma per sottolineare che
Gesù come Elia è mandato da Dio, ma che è ben più forte del famoso profeta.
Quanto Gesù compie, guarire e
risuscitare, sono azioni che servono a giustificare la risposta che Gesù darà
nel brano seguente, sulla vera natura di Gesù (7,18-23): “i morti risorgono e
beato chi non si scandalizza di me”. L’evangelista Luca vuole sottolinearlo per
presentarci un Gesù attento alle sofferenze del suo popolo, per presentarci il
Misericordioso.
Meditare
v.
11: In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i
suoi discepoli e una grande folla.
Ci troviamo in Galilea, Gesù lascia
Cafarnao dove ha compiuto la guarigione del servo del centurione. Ora sta per
entrare a Nain, a circa 10 Km da Nazareth. Lo segue i discepoli insieme ad una
grande folla. Gesù non si sottrae alla relazione con le folle; anzi la ricerca.
Egli si sente mandato a tutti: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini,
perché io predichi anche là. Per questo infatti sono venuto” (Mc 1,38). Il suo
è un ministero itinerante. Egli entra nelle città, nei villaggi e nelle case. È
per questo che vengono a formarsi le folle che lo cercano: grazie alla “fama di
lui”, del suo insegnamento e delle sue azioni potenti, ma anche grazie alla sua
disposizione d’animo, al suo evidente desiderio di farsi vicino annunciando a
tutti il Regno di Dio (Mt 4,23-25).
v.
12: Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un
morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era
con lei.
A Nain abbiamo due scene: chi entra in
città e chi esce; chi segue il morto e chi segue l’Autore della vita. Due scene
e tutti e due con molta gente. Una è formata dalla moltitudine dei morti e
l’altra dalla moltitudine dei vivi in Cristo. La Sacra Scrittura dice che sono
molti coloro che seguono la strada larga, spaziosa che conduce alla morte (Mt
7,13-14), ed è una moltitudine immensa quella che segue l’Agnello (Ap 7,2-4),
che è Via, Verità e Vita (Gv 14,6).
Il corteo funebre si reca fuori della
città (ancora oggi è possibile scorgere delle tombe scavate nella
roccia). Il morto diventa simbolo di
unicità di fronte al giudizio di Dio, ma è accompagnato dalla folla, fratelli
santi che aiutano all’incontro con Gesù.
Luca indica una porta tra la vita e la
morte. Gesù è alla porta, anzi Egli è la porta ed attende. Egli è la
risurrezione e la vita e chi crede in lui anche se è morto vivrà, e chiunque
vive e crede in me non morirà in eterno (Gv 11,25-26), perché egli non è Dio
dei morti ma dei viventi (Lc 20,38).
L’attenzione però è rivolta alla donna
e al suo dramma. Non solo è vedova, ma porta alla sepoltura il suo unico
figlio. Ella è rimasta così priva di qualsiasi protezione e di sostegno economico,
l’accompagnava l’affetto di molta gente.
v.
13: Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse:
“Non piangere!”.
Gesù incontra il corteo funebre e vede
la vedova. Qui l’evangelista Luca chiama Gesù con il titolo di Signore, quello
che gli veniva dato dalla comunità cristiana primitiva. Questo titolo viene
utilizzato soprattutto per il Cristo risorto.
Lo sguardo di Gesù si posa
compassionevole sulla vedova. è l’unica volta che Luca attribuisce a Gesù
questa grande compassione. Il verbo che utilizza (splanchnizomai), è lo stesso verbo che deriva dal termine to splanchnon e che indicano gli organi
interni, il cuore.
L’evangelista qui vuole indicare la
tenerezza di Dio nei confronti del suo popolo (cfr. Lc 1,78): il suo avere viscere
di compassione. Inoltre, troviamo lo stesso verbo, utilizzato da Luca, riferito
ad altri soggetti: nella parabola del Buon Samaritano, che si commuove alla
vista dell’uomo mezzo morto abbandonato lungo la strada (10,33) e in quella del
Padre Misericordioso che si commuove al vedere il figlio prodigo di ritorno
(15,20). È interessante notare che si tratta di figure che in qualche modo si
rifanno alla capacità di amare propria di Dio.
Alla donna Gesù dice non piangere. Un po’
troppo per una vedova che perde l’unico figlio. Difficilmente diremo parole
vuote, insensate in questo contesto.
Gesù però non dice parole vuote e
insensate. Sa bene cosa sta per compiere. Solo lui sa come consolarci in
momenti tristi, quando il cuore langue. A motivo della loro indigenza, le
vedove possono confidare in Dio (Ger 49,11), perchè Javhè fa giustizia
dell’orfano e della vedova (Dt 10,18; Sal 68,6; Pr 15,25; Ml 3,5) e viene loro
in aiuto (Sal 146,9).
v.
14: Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono.
Senza aver paura contrarre una
situazione di impurità (prevista dalle usanze ebraiche) Gesù tocca il cadavere,
entra in contatto con questa situazione di morte e di sofferenza.
Il termine usato da Luca indica proprio
la cassa da morto chiusa, secondo l’usanza greca. È però più appropriato
pensare che il ragazzo fosse semplicemente adagiato su una barella secondo le
consuetudini giudaiche.
Gesù tocca la bara. Egli è Colui che ci
salva dalla fossa della morte (Sal 103,4) toccando la nostra bara ogni
qualvolta sentiamo con le nostre orecchie la Sua Parola, ogni qualvolta che ci
fermiamo nella nostra corsa verso la morte. Il Signore, “non vuole la morte del
peccatore, ma che si converta e viva” (Ez 18, 23).
Poi
disse: “Ragazzo, dico a te, àlzati!”.
Gesù a differenza di Elia e di Eliseo
non deve fare chissà quali gesti per riportare in vita il ragazzo: è
sufficiente la sua Parola: ordina al ragazzo di alzarsi.
Nell’espressione usata da Gesù non dice
“rivivi” o qualcosa di simile, ma usa un ordine paterno, tanto ad indicare che
quella morte è l’assenza del padre. L’ordine è dato al singolare in quanto una
chiamata personale ad alzarci dalla nostra tomba.
Anche nella parabola del figlio prodigo
troviamo l’assenza del padre e il figlio nella sua tomba di morte. Il figlio,
infatti, è “morto” proprio per esserci allontanato dal padre, mentre il ritorno
a lui ne ha segnato la risurrezione: “questo mio figlio è morto ed è ritornato
in vita” (15,24) afferma il padre che lo ha riabbracciato. Chi non ha il padre
è morto. Il padre, infatti, è proprio immagine del Creatore, di colui che è
principio e sorgente di vita. La madre è diversa, è colei che sa accogliere la
vita, gestirla e custodirla con pazienza e tenerezza.
v.
15: Il morto si mise seduto e cominciò a parlare.
Questi sono due atteggiamenti che
indicano il suo essere ritornato in vita, ma anche un insegnare qualcosa, ad
avere relazioni nuove, autentiche, libere dal narcisismo perché ormai
riconsegnati alla vita dei figli amati dal Padre..
Ed
egli lo restituì a sua madre.
Il gesto di Gesù di restituirlo alla
madre, esprime ancora una volta la sua sollecitudine verso le difficoltà della
donna rimasta sola. Il termine lo restituì alla madre è lo stesso che si
ritrova nel miracolo di Elia, quasi un termine tecnico, dunque.
Un giorno però, quando morirà
nuovamente, sarà consegnato da Gesù al Padre di tutti.
v.
16: Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: “Un grande
profeta è sorto tra noi”, e: “Dio ha visitato il suo popolo”.
Questa reazione della folla è abituale
nei racconti di Luca, che parla spesso del timore e della glorificazione di Dio
davanti a un fatto prodigioso compiuto da Gesù. Anche la folla riconosce che
Gesù è un grande profeta, al pari di Elia. Non solo, essi ripetono le parole
che Zaccaria, il padre di Giovanni Battista, pronunciò quando riebbe l’uso
della parola (Lc 1,68.78): Dio ha visitato il suo popolo. Il tema della
“visita di Dio” ricorre spesso nell’AT, con un duplice significato:
giudizio e castigo quando il popolo si è reso colpevole; salvezza e benefici
nella maggior parte dei casi. La liberazione dall’Egitto costituisce la più
importante visita di Dio (Es 3,16; 4,31).
La presenza di Dio è in mezzo a noi e
si fa sentire attraverso i miracoli. Gesù è proprio il profeta di Israele. Gesù
è visto dal popolo di Israele come un profeta, un grande profeta. All’inizio
della sua missione, si dichiara tra i profeti che non vengono onorati nella
propria patria e, poi, tra quelli uccisi a Gerusalemme.
Nel suo insegnamento e nella
predicazione, Gesù si mostra diverso dagli altri profeti dell’AT, i quali
parlano sempre in nome di Dio utilizzando spesso l’espressione: “Oracolo del
Signore”. Egli, invece, parla con autorità, in prima persona: “Ma io vi dico”.
Ed è proprio per questa “autorevolezza” che porta in sé, Gesù potrà dire: “Non
pensate che io sia venuto ad abolire la Legge ed i profeti; non sono venuto per
abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17). Un modo per manifestare la sua
natura divina. Egli è Dio e non un comune profeta e l’episodio è un’autentica
“epifania”, una “incarnazione” di Lui.
v.
17: Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la
regione circostante.
Dio visita il suo popolo e questa sua
visita si diffonde a macchia d’olio. Dio continua a visitare il suo popolo
nelle varie Nain del tempo e di ogni luogo. È la profezia che continua a
ripetersi: “non piangere… alzati”. Quello che conta è l’amore che fa fare il “passaggio
dalla morte alla vita, dal peccato alla giustizia, dalla infedeltà alla fede,
dalle cattive azioni ad una santa condotta. Coloro che risuscitano con questa
risurrezione non subiscono la seconda morte” (San Fulgenzio di Ruspe).
La
Parola illumina la vita
Mi ritrovo anche io senza il Padre?
Mi fermo dinanzi alla morte per
ritornare in vita o lascio cadere ogni speranza?
Ho provato nelle difficoltà, a cercare
di alzarmi, sulla parola di Gesù, come si è alzato il ragazzo che era morto?
Quale relazioni costruisco? Anche io
che mi chiamo cristiano mi muovo a compassione o guardo e passo avanti?
Pregare
Ti esalterò, Signore, perché mi hai
risollevato,
non hai permesso ai miei nemici di
gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita
dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non
scendessi nella fossa.
Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera ospite è il pianto
e al mattino la gioia.
Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per
sempre. (Sal 29).
Contemplare-agire
La compassione cristiana non ha niente
a che vedere col pietismo, con l’assistenzialismo. Piuttosto, è sinonimo di
solidarietà e di condivisione, ed è animata dalla speranza (Benedetto XVI).


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