Lectio divina su Lc 13,1-9
Invocare
Dio misericordioso, fonte di ogni bene,
tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di
carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci
opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Leggere
1 In quello stesso tempo si
presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato
aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2 Prendendo la
parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di
tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3 No, io vi dico, ma se non vi
convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4 O quelle diciotto persone, sulle
quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli
di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5 No, io vi dico, ma se non vi
convertite, perirete tutti allo stesso modo».
6 Diceva anche questa parabola: «Un
tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi
frutti, ma non ne trovò. 7 Allora disse al vignaiolo: «Ecco, sono tre anni che
vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque!
Perché deve sfruttare il terreno?». 8 Ma quello gli rispose: «Padrone, lascialo
ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9 Vedremo
se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai»».
Silenzio meditativo: Il Signore ha pietà del suo
popolo
Capire
Il capitolo 13 di Luca è situato alla
fine di una sezione iniziata con il cap. 12 in cui Gesù si trova davanti a “migliaia”
di persone. Infatti fino al capitolo 13 versetto 10, dove si dice che (Gesù)
stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato non viene indicato nessun
cambio di tempo e di luogo. Questo significa che Luca vuole mettere la parabola
in relazione con quanto precede.
Nel capitolo 12 si parla della
testimonianza da offrire con coraggio davanti al mondo da parte dei discepoli, certi
di non essere abbandonati dal Padre (vv. 1-12); della ricchezza con l’invito al
distacco dai beni terreni confidando nella Provvidenza (vv. 13-34), di essere
vigilanti e fedeli nell’attesa del ritorno del Signore (vv. 35-53). Questo
“raggruppamento” si trova nella grande sezione centrale del Vangelo di Luca
della salita verso Gerusalemme (9,51-19,28). In questa sezione eterogenea si
trova la controversia di Lc 13,1-5, seguita dalla parabola del fico in 13,6-9.
L’invito pressante alla conversione
costituisce il tema centrale del cap. 13, dove il perdono è offerto da Dio a
coloro che aderiscono al Vangelo.
Per capire, abbiamo la parabola del
fico sterile che è preceduta da un forte appello alla conversione. Il verbo
“convertirsi” è ripetuto due volte nel testo. L’avvertimento è dato in forma
solenne: “Io vi dico..” e come condizione indispensabile per sfuggire al
giudizio di Dio: “se non vi convertirete, perirete tutti”.
Luca non è anzitutto interessato al
contenuto della conversione (quali cose cambiare); preferisce renderci consapevoli
che il giudizio di Dio è incombente e generale. I piccoli aggiustamenti non valgono
più: occorre un ripensamento globale, un cambiamento che vada alla radice.
Questo è il significato del termine “conversione”.
Di fronte alla parola di Gesù la
risposta che si richiede è sempre quella: la conversione. I fatti più tragici
(esecuzioni politiche da parte di Pilato o morti bianche in città) non debbono
indurre ad un giudizio sugli altri, ma sempre e solo alla conversione: “Se non
vi convertite (a Gesù) rimarrete nella morte” (3.5).
È questo il tempo della conversione!
Dio ha lasciato passare ”tre anni (una vita!)” nella speranza di avere la conversione
dell’uomo (fico infruttuoso). Ora siamo entrati nell’anno inaugurato da Gesù:
anno di misericordia (4,17-21). In questo “anno di misericordia” viene data una
nuova possibilità di salvezza per l’uomo. La predicazione del vangelo è la
nuova e ultima via offerta all’uomo per convertirsi a Gesù e portare frutto.
“Se no, lo taglierai” (9).
Meditare
v.
1a: In quello stesso tempo
Il capitolo 13 del Vangelo di Luca inizia
ricollegandosi alla parte finale del capitolo 12 nella quale Gesù rivela di essere
venuto a portare il fuoco sulla terra e di dover ricevere un battesimo, quello annunciato
da Giovanni (cfr. Lc 3,16).
v.
1b-2: si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui
sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici.
L’inizio del brano prende spunto da un
sanguinoso fatto di cronaca narratogli da alcuni: il massacro di alcuni Galilei
giunti a Gerusalemme per offrire sacrifici durante una festa giudaica, trovatisi
coinvolti in un tumulto insurrezionale, una rivolta così frequente allora e
Pilato li fa trucidare. Questo fatto di violenza viene riferito a Gesù da
qualcuno che forse attende da lui un giudizio politico.
Prendendo
la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di
tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte?
Gesù pone una domanda particolare dove
invita a trovarne il senso. Quale il senso della morte? E soprattutto della
morte ingiusta, della morte di coloro che sembrano non avere colpa ed essere
addirittura uomini pii e giusti? Al primo annuncio di morte Gesù risponde con
una domanda, una esortazione e la parabola del fico sterile e della pazienza
del padrone per un terzo anno ancora.
Egli non dà una lettura politica di
questo fatto, come si aspetterebbero gli interlocutori; non dà neppure una lettura
“religiosa” tradizionale: quei galilei non sono morti per punizione dei loro
peccati, non erano cioè più peccatori di quelli che invece non sono morti.
Nel cieco nato narrato in Gv 9, Gesù
affronta la stessa tematica della lettura religiosa tradizionale. Egli non
intende dare un giudizio sulla causa della morte di quei galilei, ma reagisce
contro l’opinione diffusa che identificava malattia e peccato come conseguenza
dei peccati commessi. Infatti nel brano del cieco nato la gente si rivolge a
lui accusandolo di essere nato tutto nel peccato. Gesù in questo brano ribadisce
la non colpevolezza di quei galilei e afferma invece l’urgenza della
conversione.
In questo testo c’è una chiave di
lettura per quanto riguarda gli eventi della storia. Vivere da cristiani gli eventi
della storia significa viverli in funzione di quell’evento di cui siamo debitori
alla storia, cioè la nostra conversione. E la conversione non ci coinvolge solo
come singoli, ma ci vede coinvolti come chiesa.
Normalmente, noi ragioniamo così: se
Dio li ha castigati, vuol dire che essi erano peccatori. Ma non è questo il
modo di interpretare gli eventi. Quegli uomini, afferma Gesù, non erano
peggiori degli altri. Il giudizio di Dio non è per alcuni, ma per tutti; non è
per gli altri, ma è per noi. Infatti a Gesù non interessa schivare i pericoli e
trovare un accomodamento, Egli intende indicare la via della salvezza.
v.
3: No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
Gesù reagisce con compostezza a questa
segnalazione e chiarisce che il pericolo sovrasta tutti quanti: egli non vede
nemici dappertutto, che sarebbe il sintomo di una malattia, di mania di
persecuzione, ma fa un esortazione: quello è il momento opportuno per
convertirsi, aspettare potrebbe voler dire perdere un’occasione preziosa e
rischiare la stessa sorte.
Luca non è anzitutto interessato al
contenuto della conversione, quali cose cambiare; preferisce renderci consapevoli
che il giudizio di Dio è incombente e generale, riguarda tutti. I piccoli
aggiustamenti non valgono più: occorre un ripensamento globale, un cambiamento
che vada alla radice. Questo è il significato del termine “conversione”.
vv.
4-5: “O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le
uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?
No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Gesù fa riferimento a questi due fatti
di cronaca per sottolineare l’urgenza della conversione, di questo tornare a
Dio con tutto il cuore e con tutta la mente e che non è mai troppo presto
prendere questa decisione fondamentale per ottenere la Salvezza.
Ma che cos’è quella conversione che
viene richiamata e dobbiamo fare nostra? La conversione nasce quando ci
rendiamo conto di essere lontani da Dio e quando il nostro cammino incomincia a
ritornare verso di Lui, a cercare di nuovo il rapporto con il Signore. Se siamo
onesti dobbiamo dire che dal Signore siamo lontani. Può darsi che qualcuno non
abbia fatto dei peccati gravi, dei crimini, o cose di questo genere, questo è
possibile. Ma è difficile che possiamo dire di essere davvero uno strumento
della presenza di Dio in mezzo al mondo; è difficile che possiamo dire che
attraverso le nostre parole, i nostri gesti, le relazioni che stabiliamo con
gli altri passa la presenza di Dio, la sua giustizia, la sua verità, il suo amore,
il suo perdono… Siamo molto lontani. Eppure siamo fatti ad immagine e
somiglianza di Dio (cfr. Gen 1, 26), e la nostra vocazione è che Dio si
riconosca in noi (cfr. Ef 1, 4-5); se siamo suoi figli, gli dobbiamo pure
assomigliare in qualche cosa.
v.
6: Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi
nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò.
La parabola del fico sterile che inizia
in questo versetto, possiamo accostarla alla parabola dei talenti. La parabola ha
lo scopo di precisare la minaccia del giudizio imminente e il conseguente
appello al cambiamento.
Gesù fa riferimento a un’immagine già
molte volte utilizzata nell’Antico Testamento per indicare il popolo di Dio.
Infatti il fico e la vigna rappresentano nella Scrittura e nella tradizione
rabbinica e profetica il popolo di Israele che è la vigna scelta, piantata e
curata da Javhè nonostante la sua infedeltà. Ed ora è Gesù, il Figlio di Dio
che viene a visitare questa vigna e a mangiarne il frutto… E i vignaioli stanno
per metterlo a morte.
In questo versetto ci sta una
precisazione: un tale aveva piantato questo fico va nella vigna per raccogliere
frutti ma non ne trova. Possiamo leggervi dentro l’azione di Dio che invia il
suo Figlio, Gesù dolcezza del Padre che per tre anni predica in mezzo al popolo
annunciandosi come il Salvatore, il Redentore, il Misericordioso.
vv.
7-9: Allora disse al vignaiolo: «Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti
su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il
terreno?».
Quale rapporto abbiamo con Dio? Quali
frutti di conversione portiamo? Il padrone comunica al vignaiolo il suo
disappunto per quell’albero che ormai già da tre anni non dà frutti, quindi dà
ordine di tagliarlo perché è un parassita, sfrutta solo il terreno senza
portare frutto. Di per sé la decisione del padrone è giusta: un albero che non
dà frutto è improduttivo, sterile, abbatterlo è la soluzione più logica.
Ogni buon contadino sa bene che un
vitigno comincia a dare frutto dopo tre anni dacché è stato piantato.
Questi versetti, ci presentano la
sterilità del fico. Qui possiamo leggere leggere la nostra storia alla luce di quella
di Gesù. La parabola è trasparente. Il Padre e il Figlio si prendono cura
dell’uomo e si attendono che egli risponda al loro amore. Ma come il fico è
sterile, così l’uomo non fa frutti di conversione (cfr. Lc 3,8).
Ma
quello gli rispose: «Padrone, lascialo ancora quest’anno
“Padrone, lascialo ancora quest’anno…”.
Il vignaiolo parla in modo misericordioso, chiede pazienza al padrone. Parla
nello stesso modo in cui Gesù ci ha parlato di Dio: paziente e misericordioso.
Il “quest’anno” indica tutti gli anni e i secoli delle generazioni
che verranno. E’ l’anno della pazienza e della misericordia di Dio: “Egli
usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano
modo di pentirsi” (2Pt 2,9). Ma non dobbiamo fare come gli “empi che
trovano pretesto alla loro dissolutezza nella grazia di Dio” (Gd 4). Non
ci si deve prendere gioco della ricchezza della bontà di Dio, della sua
tolleranza e della sua pazienza, ma riconoscere che la bontà di Dio ci spinge
alla conversione (cfr. Rm 2,4).
La parabola pone l’accento sulla bontà
di Dio. La cattiveria dell’uomo non può impedire a Dio di essere buono.
finché
gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime.
Il vignaiolo non ne vuole sapere di
tagliare l’albero anche se deve riconoscere che finora è stato improduttivo e
s’impegna a lavorare perché il fico porti frutto: lo zappa tutt’attorno e gli
mette il concime. Viene da pensare a quell’opera attenta, premurosa, abbondante
che Dio ha compiuto, attraverso Gesù Cristo, a nostro favore, per rendere la
nostra vita feconda di frutti di bene. Ciascuno potrà ripercorrere nella
memoria l’elenco di queste opere divine a cominciare dalla redenzione stessa,
dall’amore infinito di Dio per noi. Questa considerazione potrebbe davvero
svegliarci e renderci più pronti a una risposta generosa.
Vedremo
se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai»».
Il tempo che si prolunga è segno di
misericordia, non assenza di giudizio. Il tempo si prolunga per permetterci di
approfittarne, non per giustificare il rimando o l’indifferenza. E comunque la
pazienza di Dio ha un limite. Il tempo è decisivo, non perché breve, ma perché
carico di occasioni decisive, qualunque sia la sua durata.
Questo dialogo tra padrone e vignaiolo
mette in risalto il valore dell’intercessione, della preghiera per ottenere
misericordia, fatta da Gesù che è il vignaiolo al Padre che è il padrone. E’ la
stessa intercessione chiesta da Abramo verso le città di Sodoma e Gomorra, la
stessa intercessione di Mosè nei confronti di Israele nell’episodio del vitello
d’oro. Il vignaiolo farà di tutto perché porti frutto… come Gesù che in Lc 15 farà
di tutto per ritrovare chi era perduto.
Il tempo che si prolunga è un segno di
misericordia, non assenza di giudizio. Il tempo si prolunga per permetterci di
approfittarne, non per giustificare il rimando o l’indifferenza. Il tempo è
decisivo, non perché breve, ma perché carico di occasioni decisive, qualunque
sia la sua durata. Questa parabola è raccontata per noi, oggi.
La Parola illumina la vita
Avverto nella mia vita la presenza
salvifica di Dio? A mia volta porto frutti di vera conversione?
Con quale impegno corrispondo alla cura
di Dio? Ricambio il suo amore con gesti concreti di servizio?
Quali scelte ho fatto in questo cammino
di quaresima? Hanno portato frutto? Su cosa sto realmente puntando? Che spazio
ha la conversione, il rinnovamento della mia vita quotidiana?
Pregare
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo
nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.
Il Signore compie cose giuste,
difende i diritti di tutti gli
oppressi.
Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,
le sue opere ai figli d’Israele.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Perché quanto il cielo è alto sulla
terra,
così la sua misericordia è potente su
quelli che lo temono (Sal 102).
Contemplare-agire
Lasciamoci coltivare da Gesù, dalla Sua
Parola. La Parola Sacra è come l’aratro, che viene a dissodare il terreno del
nostro cuore, ma è anche come il seme che vi viene immesso, perché possa
produrre frutti di bene.

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