Lectio divina su Mt 21,28-32



Invocare
O Padre, sempre pronto ad accogliere pubblicani e peccatori appena si dispongono a pentirsi di cuore, tu prometti vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall’ingiustizia: il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù. 
Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Leggere
28 «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna». 29 Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi si pentì e vi andò. 30 Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò. 31 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32 Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

Silenzio meditativo: Ricordati, Signore, della tua misericordia
Capire
La parabola è inserita in un contesto di tensione e pericolo. Dopo il Discorso alla comunità (18,1-35), Gesù si allontana dalla Galilea, attraversa il Giordano e inizia il suo ultimo viaggio verso Gerusalemme (19,1). Molto prima egli aveva detto che doveva andare a Gerusalemme per essere arrestato e ucciso e poi risuscitare (16,21; 17,22-23). Ora è dunque giunto il momento di salire fino a Gerusalemme e di affrontare la prigione e la morte (20,17-19).
A Gerusalemme, Gesù diviene motivo di conflitto. Da un lato il popolo che lo accoglie con giubilo (21,1-11). Perfino i bambini lo acclamano quando, con un gesto profetico, espelle i venditori dal tempio e guarisce i ciechi e gli zoppi (21,12-15). Dall’altro lato i sacerdoti e i dottori che lo criticano. Essi chiedono che comandi ai bambini di chiudere la bocca (21,15-16). La situazione era tanto tesa, che Gesù dovette passare la notte fuori della città (21,17; cfr. Gv 11,53-54). Ma il giorno dopo di buon’ora egli già ritorna e, sulla strada che porta al tempio, maledice un fico, simbolo della città di Gerusalemme: albero senza frutto, solo con foglie (21,18-22). E poi entra nel tempio e comincia a insegnare al popolo.
Mentre sta parlando al popolo arrivano le autorità per discutere con lui, e Gesù le affronta, una per una (21,33-22,45): i sommi sacerdoti e gli anziani (21,23), i farisei (21,45; 22,41), i discepoli dei farisei e degli erodiani (22,16), i sadducei (22,23), i dottori della legge (22,35). Alla fine Gesù fa una lunga e durissima denuncia contro gli scribi e i farisei (23,1-36) e una breve e tragica accusa contro Gerusalemme, la città che non si converte (23,37-39). È in questo contesto carico di tensione e pericoloso che Gesù pronuncia la parabola dei due figli, uno bravo all’apparenza mentre l’altro, anche se sembra disubbidiente, fa la volontà del padre.

Meditare
v. 28: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; 
Che ve ne pare? Questa parabola inizia con una domanda provocatoria. Gli uditori invitati a dire l’opinione sono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo (21,23). Sono gli stessi che, per paura del popolo, non avevano voluto rispondere alla domanda sull’origine di Giovanni Battista: se veniva dal cielo o dalla terra (21,24-27). Gli stessi poi cercheranno un modo per arrestarlo (21,45-46).
Alla provocazione però, segue la tenerezza, segue una paternità e maternità. Tutto inizia da questa paternità, da questo uomo che aveva due figli. Questa paternità, così come richiama la parabola del padre misericordioso, è una paternità che si manifesta nell’atteggiamento dei due figli. 
Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna».
Il verbo greco per descrivere la parola figlio, usa il verbo téknon che vuole indicare la dolcezza materna.
Gesù comincia a raccontare questa esperienza di famiglia, perché gli ascoltatori, anche loro padri di famiglia, dovevano conoscere questo fatto per esperienza propria.
La vigna nella letteratura profetica presenta la casa d’Israele (cfr. Sal 80,9ss; Is 5,1). La vigna è la nuova famiglia che fa esperienza di Dio.
v. 29: Ed egli rispose: «Non ne ho voglia».
Ma poi si pentì e vi andò.
La risposta lapidaria
del figlio segna il suo rifiuto. Qualcosa però non va: prova rimorso. Il
termine greco, che qui utilizzato è metamélomai
(usato anche al v. 32 e al cap. 27,3 per indicare il pentimento di Giuda), indica
più che altro il sentimento di rimorso per il peccato, che non porta
necessariamente l’uomo a rivolgersi a Dio. Quindi, il pentimento inteso solo
come rimorso per il proprio peccato può non significare realmente conversione.
Gli appelli alla conversione del Nuovo Testamento chiamano l’uomo a un
orientamento nuovo e radicale della volontà a Dio, ad abbandonare perciò
l’errore e a fare ritorno a colui che è il Salvatore di tutti gli uomini.
v. 30: Si rivolse al secondo e disse lo
stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò.
Anche il
secondo figlio risponde in maniera analoga e lapidaria ma diversa. Il testo
greco suona letteralmente così: “Io, Signore” e non tanto “Sì, Signore”. Il
testo greco fa apparire un “io” enfatico, che deborda dalle parole di questo
figlio incoerente. In tale figura il vangelo mette in evidenza le incoerenze e
l’obbedienza solo formale di coloro che si trincerano dietro le apparenze, ma
nei fatti mettono, davanti alle esigenze del Vangelo, quello del loro “io”. C’è
il rischio di ridurre la propria giustizia funzionale all’orgoglio del proprio
“io”, mentre il cuore ha dimenticato l’amorosa inquietudine della ricerca
sincera della volontà di Dio.
v. 31: Chi dei due ha compiuto la volontà
del padre?».
Qui Gesù
termina la breve parabola esplicitando ancora una domanda che richiama quella
iniziale: un richiamo a tirare le conseguenze.
Risposero: «Il primo».
La risposta
dei sacerdoti e degli anziani è immediata: Il primo! Forse una situazione
familiare comune, conosciuta da tutti, vissuta in prima persona, nella propria
famiglia ha reso possibile una risposta lapidaria.
Così, nella
realtà, la risposta era un giudizio non sopra i due figli della parabola, ma sopra
loro stessi.
Nella
parabola nessuno dei due figli può vantare obbedienza piena al Padre. L’obbedienza
non è fatta di parole sterili e disimpegnate ma di fatti concreti e precisi
(ricorda il fico sterile, 21,18-22). Tutta la tradizione ebraica lo stava a
dimostrare; gli ascoltatori non hanno difficoltà a dare la risposta esatta.
Il giudizio
che questi danno, dimostra la necessità di fare la volontà del Padre e non accontentarsi
delle parole (cfr. 7,21).
 
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i
pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.
Usando come
chiave la risposta data dagli stessi sacerdoti e anziani, Gesù applica la
parabola al silenzio peccaminoso dei suoi uditori di fronte al messaggio di
Giovanni Battista. La risposta che avevano dato diventa la sentenza della loro
stessa condanna. In linea con questa sentenza i pubblicani e le prostitute sono
quelli che, inizialmente, avevano detto no al padre e che, in seguito, avevano
finito per fare la volontà del Padre, perché avevano ricevuto e accettato il
messaggio di Giovanni Battista, come proveniente da Dio. Mentre loro, i
sacerdoti e gli anziani, sono quelli che, inizialmente, avevano detto si al
padre, ma non avevano fatto quello che il padre chiedeva, perché non vollero
accettare il messaggio di Giovanni Battista, neppure davanti a tanta gente che
lo accettava come messaggero di Dio.
Per entrare
nel regno di Dio bisogna cambiare! Ecco l’applicazione del particolare
decisivo: bisogna pentirsi, è necessario rendersi conto di essere sulla strada
sbagliata e cambiare. I pubblicani e le prostitute, proprio perché si sono
pentiti e hanno creduto alla predicazione di Giovanni, possono entrare nel
Regno di Dio.
v. 32: Giovanni infatti venne a voi sulla
via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute
invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi
non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.
Qui si vede
la fatica delle autorità a credere ad un inviato di Dio, a credere alla Parola
del Signore. I pubblicani e prostitute sono le categorie considerate da Dio,
quelle per le quali si credeva fosse ritardato il regno, “invece gli hanno creduto”,
persone capaci di fede. La loro condizione non è una condizione che impedisce
loro di obbedire alla volontà di Dio. Infatti, questi sono coloro che non
vivono una appartenenza. Il credere, da parte loro, sembra essere il sapersi di
qualcuno, il sapere che interessano a qualcuno; che di qualcuno si possono
fidare. Il rapporto che vivono non è più un rapporto mediato dal denaro, anzi,
non è più nemmeno un rapporto mediato perché è un rapporto di comunione quello
che sono chiamati a vivere.
La parabola
originaria si chiude al v. 31. Qui l’evangelista non fa altro che invitare alla
conversione.
La “via
della giustizia” di cui si parla non è altro che un allontanarsi dal male per
praticare il bene: 
«Cercate il
bene e non il male, sicché possiate trovare la vita. Odiate il male, amate il
bene… Forse il Signore, Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe»
(Am 5,14-15). Ma perché il messaggio di conversione non rimanga senza risposta,
ha bisogno di trovare un terreno ben preparato (cfr. 13,8). É necessario che
cada in cuori che, profondamente consapevoli della propria colpevolezza,
ricercando la giustizia, cerchino sinceramente Dio (cfr. Is 51,1) e in novità
di spirito vogliano “ritornare” a lui (cfr. Ger 24,7).
La Parola
illumina la vita
Quale punto
di questa storia dei due figli ha richiamato di più l’attenzione? E perché?
A che punto
è il mio prendere coscienza da un cristianesimo di facciata a un cristianesimo
di coscienza?
Quale tipo
di obbedienza Gesù raccomanda alla mia vita attraverso questa parabola?
E io, dove
mi colloco: tra le prostitute e i peccatori o tra i sacerdoti e gli anziani?
Pregare
Fammi
conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i
tuoi sentieri.
Guidami
nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei
tu il Dio della mia salvezza;
io spero in
te tutto il giorno.
Ricòrdati,
Signore, della tua misericordia
e del tuo
amore, che è da sempre.
I peccati
della mia giovinezza
e le mie
ribellioni, non li ricordare:
ricòrdati di
me nella tua misericordia,
per la tua
bontà, Signore.
Buono e
retto è il Signore,
indica ai peccatori
la via giusta;
guida i
poveri secondo giustizia,
insegna ai
poveri la sua via. (Sal 24)
Contemplare-agire
“Conoscere
bene se stessi e imparare a tenersi in poco conto è il massimo compito e quello
più utile. Non mettere in luce se stessi, ma avere sempre una buona opinione
degli altri, questa è vera sapienza e perfezione” (T. Kempis).

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